L’angolo di Michele Anselmi

Si riparla del film “Il grande freddo” (l’ho fatto anch’io in un post precedente) in seguito alla morte del 71enne William Hurt, che fu uno dei protagonisti di quella storia corale così ben scritta e diretta da Lawrence Kasdan nel 1983. Quel film non piacque a tutti, bisogna saperlo. Ricordo che il sempre rimpianto Tullio Kezich lo prese proprio male, senza capirlo, forse appartenendo a un’altra generazione, e non mi sono mai spiegato perché avesse derubricato a mero “scarparo” il padrone di casa interpretato da Kevin Kline (in realtà era un’industriale specializzato in calzature da “runner”). Ricordo inoltre che i cinefili più accaniti, ramo “il manifesto” & dintorni, accusarono l’hollywoodiano Kasdan di aver copiato pari pari un interessante film “reducista” del regista indipendente John Sayles intitolato “Return of the Secaucus Seven” (1980): non era proprio così e comunque provate a vederlo, se lo trovate, e mi direte quale dei due ha più benzina nel serbatoio.
Ma ricordo soprattutto un episodio che riguarda il sottoscritto e Nanni Moretti. Allora, era l’aprile del 1984, io ero giornalista a “l’Unità” e il regista di “Ecce Bombo” aveva appena fatto uscire nelle sale il suo pregevole “Bianca”. Pensai, senza farmi troppo illusioni, di chiedergli una cosa che oggi sarebbe impensabile: “Te la senti di vedere con me il film di Kasdan e ne parliamo alla luce del tuo?”. A sorpresa Moretti disse di sì, l’idea gli sconfinferava. Così ci demmo appuntamento al primo spettacolo, davanti al cinema Rivoli, a un passo da via Veneto (oggi non c’è più). Eravamo in pochi in sala, Nanni non sembrava molto preso da “Il grande freddo”, ma a un certo punto urlò nel buio una roba del tipo: “Ma no, non è possibile!”. Era la scena nella quale il padrone di casa Kevin Kline, tra qualche imbarazzo, accetta di fare l’amore con l’assistente sociale Mary Kay Place che vuole avere un figlio ad ogni costo; e lui, all’inizio riluttante, lo fa con il consenso della moglie Glenn Close, lesta a capire lo stato d’animo ulcerato dell’amica.
A me è sempre sembrata una scena bella, anche toccante, certo molto “cinematografica”, legata a quell’epoca, e tuttavia in linea con il mood esistenziale del film (si parlava di amici persisi di vista di anni ma un tempo molto uniti sul piano politico, a sinistra). Nanni Moretti invece proprio non capì; anzi, una volta usciti dal cinema ed entrati in un bar lì accanto per parlare, di fronte a dei pasticcini, di quei due film così diversi ma entrambi “generazionali”, mi ripropose il suo sdegno: diciamo morale ed estetico. Da quella lunga chiacchierata venne fuori una bella pagina su “l’Unità”, forse intitolata “Basta con gli orfani del ’68”, che purtroppo non ho più ritrovato: se qualcuno riesce, tramite l’Archivio storico o ritaglio cartaceo, me la mandi qui (grazie).
Ripensandoci meglio, “Bianca” era il ritratto di un insegnante psicopatico, anche pericoloso, un anti-eroe della società del riflusso dai riflessi dostoevskiani che entrava pesantemente nelle vite altrui, anche sul piano sentimentale, con l’idea di restituire l’aria bizzarra e paradossale del tempo; mentre “Il grande freddo” era il ritratto, tra impietoso e affettuoso, certo anche scaltro nell’uso delle canzoni, di un gruppo di ex contestatori ultratrentenni decisi a risaldare, nel ricordo di un amico suicida, un palpito di solidarietà vera, forse finalmente matura. Due film importanti, per ragioni diverse: ma, a dirla tutta, se dovessi scegliere quale dei due rivedere stasera, be’ francamente non avrei dubbi (l’americano).

Michele Anselmi