L’angolo di Michele Anselmi
Diciamo che fu un azzardo inserirlo nella selezione ufficiale della scorsa Festa del cinema di Roma. Adesso, durante la settimana del festival di Sanremo, esce nelle sale “Il ladro di giorni”, con Vision Distribution, e ci si chiede (mi chiedo) perché mai scrivere, produrre, girare un film così scombinato. E pensare che il regista/sceneggiatore, Guido Lombardi, napoletano, classe 1975, si fece apprezzare assai con la sua opera d’esordio, “Là-bas. Educazione criminale”, accolta nove anni fa alla veneziana Settimana della critica. Poi venne “Take Five” e già qualcosa cambiò.
Con “Il ladro di giorni” siamo un po’ dalle parti di “Un mondo perfetto” di Clint Eastwood: il picaresco viaggio in auto di un giovane criminale e un bambino, s’intende destinato a finire maluccio per uno dei due, e tuttavia baciato da un palpito d’affetto, complicità e amicizia. Nel caso in questione però le cose si complicano: il criminale Vincenzo, pugliese appena uscito dal carcere dopo sette anni, è padre di Salvo, il ragazzino undicenne che nel frattempo è stato cresciuto dagli zii su in Trentino, dove si trova benissimo. L’idea è di passare quattro giorni insieme, in fondo non ci sarebbe nulla di male, ma noi sappiamo che il fuorilegge ha una doppia missione da compiere giù in Puglia, nessuna delle due “pulita”, e quel bambino può essere più utile di una pistola, nel senso dell’alibi.
Costruito come una ballata “on the road”, tra cambi di auto, episodi buffi o asprigni, pistole che spuntano, tuffi simbolici, pipì addosso, turiste rimorchiate, scantonamenti a Gravina, “flagellanti” in processione, quadri con nudi di donna e rese dei conti, il film approda finalmente a Bari, e qui mi fermo perché c’è una sorpresa.
Scrive Guido Lombardi sulle note di regia: “Il film è il racconto di un incontro. Tra un figlio che ha quasi dimenticato di avere un padre e un padre che stenta a riconoscere in quel bambino suo figlio”. Insomma un tirante classico di tanto cinema e letteratura, non a caso la storia è diventata anche un romanzo per Feltrinelli scritto dallo stesso cineasta. Purtroppo il connubio tra i due funziona maluccio, almeno sullo schermo: più che emozionante, il viaggio appare sfibrato, trapunto di episodi incongrui, dialoghi sentenziosi, sottolineature inutili. Sarà perché Riccardo Scamarcio, che pure è attore versatile, qui disegna il suo Vincenzo all’ingrosso, senza sfumature, come una sorta di “predestinato”; mentre il piccolo Augusto Zazzaro almeno posa un po’ di freschezza sul personaggio di Salvo, incerto sul da farsi: amare o scappare? Nel ricco cast compaiono anche Massimo Popolizio e Vanessa Scalera, cioè la Imma Tataranni della fortunata serie tv.
Morale? “Io pensavo che il vero pericolo fossero i cattivi, invece no: non sono i cattivi, sono gli stupidi”. Se vi interessa sapere perché non vi resta che vedere “Il ladro di giorni”.
Michele Anselmi