Dopo “Scrittori sulla scrittura. Guida di scrittura creativa attraverso i grandi autori”, Serena Bedini torna in libreria per Odoya con “L’avventura del viaggio – Letteratura, reportage e memorie”, progetto sulla letteratura odeporica che trova un equilibrio invidiabile tra il corpo del saggio originale e i brani degli scrittori selezionati. Ne abbiamo parlato con l’autrice.
In quanto alla costruzione del saggio, hai lavorato prima alla selezione dei brani dei vari autori, costruendo intorno la tua analisi, oppure hai proceduto al contrario?
Serena Bedini: Ho sempre desiderato scrivere un volume sulla letteratura odeporica. La prima volta in cui ho iniziato a sognarlo fu all’Università, all’età di circa 23 anni, quando studiai il saggio di Armando Gnisci, Letteratura comparata, per un esame. Da quel momento ebbi modo di cominciare a riflettere su cosa fosse il viaggio per uno scrittore e iniziai a collezionare volumi di reportage, memorie e romanzi che afferivano alla letteratura odeporica. Nel tempo la mia libreria si è dunque arricchita di una sezione completamente dedicata a partenze, arrivi e permanenze in terra straniera. Ogni opera era per me una nuova avventura, era un biglietto in un luogo sconosciuto e bellissimo in cui l’autore mi avrebbe condotto. Leggendo, mi sono resa conto che ogni scrittore privilegiava a proprio piacimento momenti diversi della propria esperienza, soffermandosi ora sulle emozioni della partenza, ora sui primi momenti dell’arrivo, ora sulle impressioni vivide che la meta prescelta suscitava in lui. in ogni scritto c’era tuttavia un’effervescenza che derivava dall’emozione ed essa costituiva di fatto “l’avventura” di quel viaggio. Ecco dunque nata la mia opera: è stato sufficiente selezionare gli autori in base a come descrivevano il proprio viaggio e inserirli nei diversi capitoli che l’indice comprendeva. Per rispondere alla tua domanda, potrei dunque dire che la selezione dei brani ha determinato l’indice e che l’indice di fatto ha poi richiesto l’inserimento di altre opere che ho aggiunto al nucleo iniziale.
Di fatto, ciò che racconti, rigorosamente in prima persona, e quello che citi diventano un tutt’uno senza che il gioco diventi mai pedante o lezioso: in che modo hai scelto e assemblato le varie sezioni del volume?
SB: Leggere reportage, memorie e romanzi di viaggio è percepire quelle emozioni che l’autore sente nel momento in cui visita, vede e conosce un luogo, ma è anche un modo per rivivere ricordi e sensazioni dei propri viaggi. È stato quindi inevitabile per me realizzare questo gioco di rimandi, in un dialogo ideale in cui i grandi della letteratura raccontavano la loro esperienza odeporica e io, nel mio piccolo, rispondevo con frammenti della mia o con mie considerazioni. Volevo che il mio volume fosse una sorta di “conversazione tra amici”, uno scambio di pensieri ed emozioni sulle singole sezioni del viaggio, e sono contenta di sapere che nella tua opinione io sia riuscita a trasmettere il piacere che ho provato scrivendo e leggendo.
Dalle valigie all’arrivo, dagli odori ai cibi, dalle bussole all’ignoto, dai compagni ai diari di viaggio, riesci a tracciare una personale fenomenologia della letteratura di viaggio. A colpire, nonostante la profondità dei temi, rimane la scioltezza e la levità con cui li presenti, quasi avessi sempre in mente la struttura di una guida per lettori curiosi, aperti ai consigli…
SB: Cercavo da tempo un’idea differente da quelle attualmente in commercio per “legare” assieme la quantità di volumi di letteratura di viaggio che volevo citare, ma era complesso trovare un tema che in qualche modo potesse diventare il file rouge della raccolta. L’ho trovato un pomeriggio, per caso, guardando un’intervista in TV: si parlava di viaggio e del senso di mistero che esso racchiude. Iniziai a riflettere e mi resi conto che per me, più che essere connotato da un senso di mistero, il viaggio è un’avventura e questo forse è il motivo per cui esso diviene lo scenario perfetto anche per i romanzi gialli. Così cominciai a immaginare un saggio divulgativo in cui le parti da me redatte fossero il più possibile narrate, leggere, scorrevoli, in modo da non “spaventare” il lettore, ma renderlo partecipe. Devo dire che è stato molto divertente scrivere questo volume, non solo per la materia trattata e i grandi autori che mi ha dato la possibilità di citare, ma anche per la sua natura narrativa.
Non di rado il viaggio diventa fantasia pura, immaginazione: da Swift a Dante, da Voltaire a Baudelaire si tramuta in sogno o visione di un altrove. Trovo indicativo che questa angolazione non trovi spazio nel tuo saggio che sceglie di rimanere radicato nell’analisi di percorsi che appartengono alla realtà… Possiamo parlarne?
SB: Inizialmente, nella bozza di indice che sottoposi all’editore Marco De Simoni, era presente anche una parte legata al viaggio fantastico e di fatto l’avevo scritta, incentrandola su Calvino e Le città invisibili per poi tracciare un excursus che includeva anche Swift e altri autori. Tuttavia, procedendo nella redazione, mi resi conto che sembrava una forzatura rispetto alla struttura e alla caratterizzazione che avevo dato al mio saggio, in qualche modo appariva come un atto dovuto. I viaggi di cui parlo sono reali, autentici, alla portata di tutti, visto che gli autori li hanno compiuti veramente, almeno nella maggior parte dei casi, fatte salve alcune citazioni da romanzi che sono inserite per approfondire il tema dell’avventura, anche se sorge il dubbio che nascano anch’esse da situazioni realmente vissute (per esempio per Valzania, Tabucchi, ecc.). Inoltre, nelle mie ricerche ho notato che ogni saggio (o volume di atti di convegno) relativo alla letteratura di viaggio annovera al suo interno una sezione dedicata al viaggio fantastico e io volevo fortemente che il mio lavoro si discostasse dai più; così decisi di eliminare il capitolo in questione.
Da Chatwin a Rumiz e Tabucchi, da Fleming a Canetti, da Pasolini ai due Maraini, da Cassola a Terzani, ancora Baricco, Simenon. Montalban, Brizzi: colpisce che la maggior parte degli scrittori di cui citi testi e idee siano di area europea. Cosa ne pensi?
SB: Notevole considerazione! Paradossalmente non ci avevo fatto caso, tanta era la mia ansia di non lasciare escluso nessuno degli autori che avevo da tempo selezionato! Immagino che una ragione possa essere legata alla grande fortuna che il viaggio ha avuto da sempre in Europa: tutto iniziò con il Grand Tour e da allora il mondo non fu più grande come prima. A ben guardare poi, sono sempre stati gli Europei, dai tempi della Grecia in avanti, ad aver riempito le pagine di Storia con guerre di espansione, conquiste di terre lontane, crociate e colonialismo, ossia viaggi compiuti spesso con esiti meno pacifici di chi viaggia per conoscere. Gli Europei insomma sembrano da sempre afflitti dal desiderio ineliminabile di varcare i confini, forse perché i nostri sono troppo stretti, forse perché siamo troppo simili e sentiamo la necessità di andare verso un altrove che è tanto diverso da essere irresistibilmente attraente.
È molto interessante il discorso che inevitabilmente fai anche sul cinema, e su come alcuni film hanno sedimentato nel nostro immaginario una certa idea di alcune parti del mondo, dall’America all’Oriente. C’è, in questo senso, una suggestione per l’immagine costruita che è già di per sé viaggio-movimento…
SB: Ho potuto citare un numero esiguo di film perché in effetti, come i romanzi, non sono numerosi i film che parlano solo di viaggio: spesso sono vicende ambientate in paesi stranieri, ma non sono trame autenticamente incentrate sul viaggio come movimento, avventura, condizione di estraniamento dal sé o dal luogo di appartenenza, cambiamento. È vero tuttavia che la tipologia di suggestioni che se ne traggono è spesso molto simile: l’Oriente è visto sempre come luogo del diverso, del profondo, posto ideale per perdersi e ritrovarsi, per meditare e cambiare; l’America è il nuovo, è la meta di chi cerca realizzazione, affermazione personale e professionale, è la terra per eccellenza dove tutto è possibile. Va detto che quando certe testimonianze ricorrono con tanta insistenza probabilmente c’è molto di vero, ma come non cesso di ripetere nel mio volume, ogni destinazione può essere quella in cui è possibile rinnovarsi: il viaggio è mettersi in discussione. Anche per questo motivo ho inserito all’interno del mio volume un capitolo dedicato a come scrivere un reportage o un racconto di viaggio: la scrittura è il modo migliore per osservare e osservarsi, per comprendere se stessi e gli altri, ma soprattutto per registrare quello che eravamo e quello che siamo diventati.