Da un paio di decenni, la tecnica a “passo uno” è più nota perché correlata al lavoro di Tim Burton – com’è noto, il regista di Burnbank l’ha utilizzata in film come Nightmare Before Christmas o La sposa cadavere – che al genio di Ray Harryhausen, un vero maestro nel suo utilizzo. Oggi, in pochi sanno che l’innovazione compiuta da questo grande artista degli effetti speciali e produttore cinematografico, insignito peraltro con un meritatissimo Oscar alla carriera, sta nella straordinaria capacità di calare il sistema a passo uno all’interno di pellicole dal vivo con effetto totalmente realistico.
In Ray Harryhausen e le meraviglie del cinema a “passo uno” (Profondo rosso editore, Roma, 2009), Luigi Cozzi introduce dettagliatamente il lettore nel mondo del grande artista statunitense, dai propri ricordi di spettatore fino a scendere nei segreti di tutte le pellicole che l’effettista ha trasformato, quasi, in film suoi. Scorrendo quelle pagine in cui l’autore riesce a mediare l’entusiasmo del fan con l’accuratezza del saggista affiora, infatti, una personalità talmente forte da essere rivoluzionaria. Sono davvero moltissimi i debiti del cinema fantastico verso quest’artigiano – il primo capitolo si chiama proprio L’uomo che girava i suoi film “con le mani” – che “non è stato un regista o uno sceneggiatore o un produttore e nemmeno un attore. Eppure, in un certo senso, è un po’ tutte queste cose, e anche qualcuna di più”. Figlio putativo del grande Willis O’Brien, di cui ha portato ad altissimi livelli la ricerca, ha cambiato la fisionomia del fantastique tutto, da Il risveglio del dinosauro a Il mostro dei mari, da La Terra contro i dischi volanti a Sinbad, Gulliver, Giasone fino a La vendetta di Gwangi e Scontro di titani, maldestramente rifatto un paio di anni fa.
Per chi si chiedesse ancora in cosa consiste il passo uno, ecco una puntuale spiegazione della tecnica, estrapolata da pagina 15 del testo citato: “In altre parole, nei suoi film realizzati tra il 1953 e il 1979, Harryhausen dispone il suo pupazzo snodabile (l’animale o il mostro, o il disco volante, o l’alieno) in mezzo allo scenario appositamente ricreato in miniatura e poi, con la cinepresa, scatta un fotogramma di pellicola. Ottenuta questa singola immagine “ferma”, si accosta di nuovo all’animale e gli sposta del minimo indispensabile tutti gli arti, dalla bocca alle zampe e alla coda. Allora torna vicino alla cinepresa e di nuovo impressiona un altro singolo fotogramma. […] Essendo un secondo di proiezione pari a 24 fotogrammi singoli impressionati, Harryhausen deve spostare e fotografare 24 volte il suo mostro per ottenere in cambio un secondo solo di movimento apparente realistico”.