L’angolo di Michele Anselmi 

Ormai rischio di ripetermi. Trovo Fabrice Luchini, oggi 67enne, un attore straordinario nel suo genere: per eleganza, perfidia, eloquenza, capacità di cesellare personaggi ora pomposi ora meschini, talvolta ridicolmente romantici. Perfino quando “luchinineggia” un po’ troppo, come accade in “Il meglio deve ancora venire” passato qualche tempo fa alla Festa di Roma. Ma nella nuova commedia “Il mistero Henri Pick”, scritta e diretta da Rémi Bazaçon, è semplicemente perfetto, specie a sentirlo recitare in francese con quella sua voce inconfondibile.
Trattasi, a suo modo, di “giallo”, sia pure senza cadaveri e ambientato nel mondo dell’editoria. Diciamo, per schematizzare un po’, che siamo tra “Sotto falso nome” di Roberto Andò e “Quello che non so di lei” di Roman Polanski, ma in una chiave spiritosa, anche leggera, costruita come una sorta di indagine, appunto, su un mistero chiamato Henri Pick.
Tutto comincia a Crozon, piccolo centro della Bretagna, dove esiste, dentro una piccola biblioteca, una stanza chiamata “dei libri rifiutati”. Lì una ragazza intraprendente, fidanzata con uno scrittore che sembrava destinato a fulgido avvenire invece ha venduto solo 237 copie del suo “La vasca da bagno”, trova un manoscritto che vale un tesoro. Si chiama “Le ultime ore di una storia d’amore” e risulta scritto da Henri Pick, un pizzaiolo locale defunto. Moglie e figlia del cuoco stentano a credere, ma poi si convertono all’idea; e intanto, grazie alla pubblicazione presso una grande casa editrice, il libro è diventato un best-seller.
A questo punto entra in campo Luchini, nei panni di Jean-Michel Rouche, critico letterario e soprattutto presentatore di un popolare talk-show sui libri in uscita. L’uomo diffida subito, sente puzza di bruciato, pensa a una frode, a un falso letterario. “Non so chi sia stato a scriverlo, ma lo troverò” promette a sé stesso; e come una specie di Sherlock Holmes, mentre la sua intera vita va a rotoli, sale in Bretagna per risolvere il caso.
Alla base del film c’è il romanzo omonimo di David Foenkinos, edito in Italia da Cappellini (2017); ma naturalmente il regista Bezançon cuce la storia addosso a Luchini, che fa del suo ometto, meno antipatico e scostante del solito, un personaggio avviato a una malinconica redenzione nel rapporto, tra complice e litigarello, con la figlia del pizzaiolo, interpretata da Camille Cottin (un volto normale, come si trovano di rado nel cinema italiano).
Ne esce un’indagine “rosa”, piacevole, che cita Puškin e Allan Poe (“La lettera rubata”), sfotticchia i meccanismi editoriali e le ambizioni dei talent-scout, trasformandosi strada facendo in una specie di storia d’amore dai toni senili. Il mistero alla fine sarà svelato, s’intende, ma a quel punto Rouche avrà altro a cui pensare.
Nelle sale da giovedì 19 dicembre con I Wonder Pictures. La concorrenza è spietata, ma se vi piace Luchini…

Michele Anselmi