La Mostra di Michele Anselmi / 11
Bene hanno fatto le Giornate degli autori, sezione autonoma all’interno della Mostra del cinema, a prendere “Bentu” di Salvatore Mereu. Due anni fa il regista sardo portò fuori concorso nella selezione ufficiale il suo “Assandira”, che avrebbe meritato una collocazione migliore. Questo nuovo “Bentu”, prodotto dalla società Vialcolvento in collaborazione con l’università di Cagliari e la Film Commission regionale, è un film atipico: dura solo 65 minuti, sarà difficile distribuirlo nelle sale, ma rientra perfettamente nel discorso che Mereu conduce da anni sulla sua Sardegna, colta stavolta in una chiave etnoantropologica più marcata che in passato. Poi c’è il cinema, naturalmente, che fa la differenza.
Liberamente tratto da “Il vento e altri racconti” di Antonio Cossu, “Bentu” non indica un nome, in sardo significa vento, e bisogna sapere che il vento è un elemento della natura molto caro ai contadini isolani. Per secoli ha aiutato a separare il grano dalla paglia: invocato e benedetto.
La storia, sembrerebbe ambientata negli anni Sessanta ma non si capisce bene, è cucita addosso a un vecchio contadino. Nella prima scena, immersa nella luce accentate di un campo di grano che sarebbe piaciuto a Van Gogh, Raffaele taglia con il falcetto la porzione di grano che gli appartiene: la sua provvista di un anno intero.
Per non farsi trovare impreparato, da giorni dorme in una casupola di roccia, al lume di candela, con una bombola del gas per cucinare, lontano da tutti, anche dalla moglie che vive in città. Ogni tanto urla ad altra voce: “L’America ci ha portato via tutto”. È luglio: l’uomo è ossessionato dal vento che non s‘alza, un po’ se l’inventa lui, agitando di notte la scopa di saggina su quel risicato raccolto. Solo il piccolo Angelino viene a trovarlo ogni giorno, per farlo sentire meno isolato, pure nella speranza che il vecchio gli faccia cavalcare l’indomita cavalla nella stalla. Ma non si può volere tutto, la tragedia è nell’aria.
Mereu compone un film rigoroso, pure tedioso, tutto parlato in sardo stretto con sottotitoli d’obbligo, che segue il contadino nell’esercizio dei gesti quotidiani, indugiando su certi tempi morti, apposta per trasmetterci una ritualità ancestrale legata alla vita solitaria, lontana dalle comodità cittadine. Una volta accettato quel ritmo, “Bentu” trova una sua ragione d’essere, e immagino che gli spettatori sardi sapranno cogliere dettagli che a me sfuggono. Raffaele è incarnato da Peppeddu Cuccu, che da bambino recitò in “Banditi a Orgosolo” di De Seta; Angelino ha il viso paffuto e l’intemperanza sorridente del giovanissimo Giovanni Porcu.
Michele Anselmi