L’angolo di Michele Anselmi

Lo psicologo norvegese Finn Skårderud smentisce: non avrebbe mai teorizzato che una bassa percentuale di alcol nel sangue, pari allo 0.05 per cento, faccia bene, insomma renda più liberi, intelligenti, disinvolti. In una parola: felici. Tuttavia lo spunto è suggestivo, e non sorprende che il danese Thomas Vinterberg, classe 1969, quello di “Festen – Festa in famiglia” e del recente remake di “Via dalla pazza folla”, abbia costruito “Un altro giro” partendo da lì. Da giovedì 20 maggio nelle sale con Medusa e Movies Inspired, il film, già passato alla Festa di Roma 2020, è reduce da un Oscar, e chissà che la statuetta non aiuti a promuovere questo bizzarro/angoscioso racconto sulle risorse dell’alcol.
Rispetto a tanti celebri film sull’alcolismo, tra dipendenza e desolazione, “Un altro giro” parte appunto da una diversa prospettiva, quasi da “esperimento didattico” (sarà curioso conoscere il parere dei nostri professori di liceo che lo vedranno).
Siamo in un liceo danese, in prossimità degli esami di maturità. Quattro insegnanti, Martin, Tommy, Nikolaj e Peter, si sentono demotivati, vivono con rassegnazione il disinteresse dei loro studenti, stanno per gettare la spugna; se non fosse che uno di essi sfodera, appunto, la presunta teoria di Skårderud sulla benefica percentuale di tasso alcolemico e così il quartetto comincia a provarci. All’inizio con moderazione, e i risultati a scuola si vedono; poi, come risucchiati in una “grande abbuffata alcolica”, cominciano a sbarellare, in un crescendo di figuracce, incidenti, scandali.
Tutto è raccontato dal punto di vista di Martin, il prof di storia, bello e casual, incarnato da Mad Mikkelsen, attore ormai di fama internazionale. L’uomo è umanamente a pezzi all’inizio: la moglie non l’ama più, i figli non lo capiscono, gli studenti fanno caciara durante le lezioni. Quello 0.05 di alcol nel sangue compie il miracolo, tutto sembra mettersi magicamente a posto, in famiglia e a scuola. Ma quanto durerà l’effetto benefico?
Vero, c’è qualcosa di Marco Ferreri e di John Cassavetes nello stile che Vinterberg applica a questo film inciso dolorosamente sulla propria pelle: la figlia diciannovenne Ida (c’è una dedica sui titoli di coda) morì investita da un automobilista pochi giorni dopo l’inizio delle riprese. D’altro canto si parte con una frase di Søren Kierkegaard sulla giovinezza, e il filosofo danese viene spesso citato, a ricordarci i dilemmi della “fallibilità”, soprattutto, direi, il concetto secondo cui la libertà di scelta deve misurarsi con la responsabilità individuale di fronte al bene e al male.
Vinterberg, a sorpresa, piazza anche frammenti video che mostrano illustri capi di Stato, da Breznev a Eltsin, da Clinton a Juncker, visibilmente alterati dall’alcol in situazioni pubbliche; forse un di più, sul piano cinematografico, che tuttavia suggerisce l’estensione della piaga nell’aristocrazia dei potenti. E intanto seguiamo questi quattro prof dalla ciucca facile decisi ad arrivare fino in fondo, alla ricerca del “completo oblio”, mentre la tragedia fonda è in agguato.
Costruito sui primi piani ingigantiti di Mikkelsen, a scrutare la mappa del suo bel viso segnato dagli eventi, “Un altro giro” approda a un epilogo ambiguo, forse interpretabile come liberatorio e positivo, quasi catartico, il tutto sulle note di una canzone, “What A Life” dei danesi Scarlet Pleasure, che offre al protagonista il modo di espellere tossine e frustrazioni di fronte ai suoi studenti in festa.
Il film mi pare più interessante che appassionante, e certo il doppiaggio italiano non giova, specie nel contrasto con i canti tradizionali, così epici e romantici nei testi, intonati dai liceali subito dopo alle prese con gare alcoliche letteralmente da vomito.

Michele Anselmi