Esiste un tangibile pericolo per gli attori che hanno legato la propria immagine a quella di un brand cinematografico di successo: quello di non sapersene più distaccare. Lo ha insegnato molto bene il caso di Mark Hamill, che al di là degli altri ruoli in cui si è cimentato, resterà sempre e per tutti Luke Skywalker. Così la nuova generazione di attori emersa dall’alveo delle grandi saghe cinematografiche fantasy sta ora cercando di muovere i primi passi al di fuori dell’ingombrante marchio che li ha plasmati. Ci ha provato, riuscendoci almeno parzialmente, Daniel Radcliffe, che si è confrontato con ruoli diversi nel mediocre The Woman in Black e nel non disprezzabile Kill your Darlings. Elijah Wood, Frodo nella trilogia di Il signore degli anelli, ha il vantaggio di avere una filmografia ben più nutrita e questo almeno in parte lo ha già svincolato dal marchio degli Hobbit. Ciò nonostante anche nel thriller spagnolo Grand Piano (cioè Il ricatto, nella pessima traduzione italiana), il suo ruolo si confronta necessariamente con quello che lo ha reso celebre.

La cosa interessante, in questo titolo recentemente approdato nei nostri cinema, come negli altri film con Radcliffe citati, è il fatto che la capacità attoriale dei protagonisti sia assolutamente fuori discussione. Wood riesce a dare un corpo convincente al pianista Selznick che, hitchcockianamente, si trova a dover suonare un concerto alla perfezione, pena la morte per mano di un anonimo cecchino che nel corso dei novanta minuti circa di proiezione preciserà le sue intenzioni. Al di là del riferimento a L’uomo che sapeva troppo, di cui il film costituisce una ispirazione naturale, il progetto cinematografico di Eugenio Mira (compositore prima ancora che regista), per quanto apprezzabile sotto l’aspetto dell’intrattenimento, manifesta sin da subito diversi problemi tecnici e compositivi che ne comprometto la godibilità complessiva.

Il grande problema di Grand Piano è senza dubbio il suo prendersi troppo sul serio e forse in questo l’ispirazione a Hitchcock non è stata d’aiuto. La ricerca ossessiva del punto di vista insolito e l’uso libero del piano-sequenza manifestano una volontà estetica piuttosto evidente, ma molto difficile da raggiungere per le debolezze strutturali a livello di sceneggiatura. Al di là di un buon ritmo che cresce col procedere dello sviluppo diegetico, proprio come in una sinfonia, la scrittura drammatica è carente in alcuni punti e del tutto fuori luogo risulta l’introduzione della coppia di amici dei protagonisti, del tutto fuori contesto e che addirittura sembrano strappati a film di genere ben diverso, quasi alla American Pie.

Nel complesso Il ricatto è un film dotato di alcuni aspetti interessanti, pesantemente affossati da ingenuità diffuse e di diversa gravità. La stessa trama si conclude con un colpo di teatro assolutamente ciclopico rispetto ai presupposti e l’effetto che lo concretizza è purtroppo reso con una tecnica visiva assolutamente dilettantistica. Senza nessuna colpa per il povero Elijah Wood, la proposta di Mira non convince e lascia con l’amaro in bocca per la sensazione che il tutto avrebbe potuto essere sfruttato molto meglio.

Giuseppe Previtali