L’angolo di Michele Anselmi

“La storia non si fa con i se… E chi l’ha detto?”. Perfino Nanni Moretti sembra aver preso qualcosa da Quentin Tarantino, cineasta non proprio nelle sue corde; infatti nel nuovo “Il sol dell’avvenire”, da giovedì 20 aprile nelle sale italiane e poi in concorso a Cannes, il regista “riscrive”, almeno un po’, la storia del Pci, lasciando intendere che nel 1956, all’epoca dell’invasione sovietica dell’Ungheria, Togliatti avrebbe potuto collocarsi diversamente, cioè dalla parte degli insorti, se solo, appunto… E qui entra in scena il cinema.

Trattasi di film molto atteso, a due anni dal loffio “Tre piani”, e si capisce perché sia Moretti sia Rai Cinema e Fandango che coproducono molto si aspettino sul piano commerciale. Per l’occasione il cineasta allestisce una sorta di “centone” di tic, idiosincrasie, facce, ossessioni, pur all’interno di una riflessione amarognola sull’età che avanza e il talento che si consuma. Non a caso echeggia una battuta che dice: “Questo è un film sulla fine di tutto” (però sarà smentita dal bel finale a sorpresa, con tanto di Trotski, elefanti, bandiere rosse e quattordici volti amici).

Almeno per la quarta volta, penso a “Il Caimano” e a “Mia madre” ma anche “Aprile” rientra un po’ nel genere, Moretti usa l’espediente del film nel film per parlare in buona misura di sé e di ciò che gli sta a cuore: politica, amore, cinema, canzoni, stile, violenza, pure le odiate piattaforme digitali. Infatti c’è una beffarda sequenza, anticipata dal trailer, nella quale Moretti si ritrova al cospetto di due fessi dirigenti di Netflix che ripetono all’infinito la storia di 190 Paesi e con termini gergali distruggono il suo film. Mancherebbe il “What the Fuck!”, cioè la trovata che spiazza. Naturalmente scoppierà l’applauso al cinema, anche se poi gli spettatori agé che vedranno “Il sole dell’avvenire” sono gli stessi che non saprebbero più vivere senza Netflix.

Ma non vorrei divagare. Ci sono tre linee temporali in questa commedia, da Moretti scritta insieme a Federica Pontremoli, Valia Santella e Francesca Marciano. Si sta girando un film ambientato nel 1956, dalle parti del Quarticciolo a Roma, nei giorni dei “fatti d’Ungheria”. La locale sezione del Pci intestata ad Antonio Gramsci, dà il benvenuto al circo ungherese Budavari (riferimento a “Palombella rossa”) arrivato dopo un viaggio di sei giorni. Ennio, il segretario di sezione nonché redattore influente a “l’Unità”, è un fedelissimo togliattiano, mentre la sua Vera è meno ligia alla linea e più disinibita. Le notizie funeste che arrivano da Budapest guasteranno la festa, con esiti inattesi.

Solo che il film, e qui siamo all’oggi, non sta venendo fuori come dovrebbe: il co-finanziatore francese è pasticcione, il copione non soddisfa, mancano i soldi per finirlo e soprattutto il regista, cioè Moretti, la cui giovane figlia musicista s’è innamorata di un sessantenne polacco, sta per essere mollato dalla moglie produttrice, ormai estenuata e pure in analisi di nascosto.

Infine c’è l’idea, un po’ onirica, di un film da fare: una storia d’amore in forma di musical, trapunta solo di canzoni italiane, che segue le traversie di una giovane coppia nel corso di cinquant’anni, dal primo bacio al cinema in poi.

Struttura ambiziosa, come vedete, frutto di aggiustamenti e ripensamenti, se è vero che prima di “Tre piani” Moretti lavorò a lungo su un film attorno alla brutale repressione sovietica in Ungheria, poi cestinato, e ora così recuperato e innestato sulle altre due vicende.

Domanderete: ma insomma com’è ‘sto film? Una specie di catalogo morettiano, un po’ fuori tempo massimo, a mio parere. Il regista/attore, oggi 69enne, non rifà Michele Apicella ma si rispecchia, a tratti con abrasiva ironia e un pizzico di quieta sofferenza, nelle situazioni narrate, forse per mettersi alla prova. “Non ci penso al pubblico… Mi piace dirlo che non ci penso” confessa in una scena del film e l’ha ripetuto nelle interviste. Magari, per “Il sol dell’avvenire”, vale la seconda parte della frase. Perché tutto, o quasi, sembra scritto, recitato, montato per eternare una certa idea del personaggio-Moretti come l’abbiamo conosciuto, pure venerato (oggi va in monopattino però, non più in Vespa).

“Io sono delizioso” sorride compiaciuto il regista, ma poi insolentisce l’attrice che porta gli odiati sabot, definiti “una tragica visione del mondo”, ferma per otto ore le riprese di un becero action-movie che sta producendo la moglie per via di una “immorale” pistolettata in fronte, obbliga moglie e figlia a rivedere “Lola – Donna di vita” in tv, a mo’ di rito cinefilo, con tanto di gelato e copertina… Per fortuna, messo alle strette, riconoscerà che “nella vita nessuno cambia mai veramente”.

Tanti frammenti, anche fulminanti, non fanno però un film compiuto. Nonostante le citazioni felliniane, da “L’intervista” nei titoli di testa a “La dolce vita” più il mondo circense, passando per il Kieslowki di “Breve film sull’uccidere”; e a non dire delle cantatine in auto, la prima dopo venti minuti di film con “Sono solo parole” di Noemi-Moro, o delle partecipazioni in amicizia: Corrado Augias, Renzo Piano, Chiara Valerio…

Tutto viene mobilitato da Moretti per piacere al suo pubblico, perfino “Think” di Aretha Franklin insieme al consueto Franco Battiato di “Voglio vederti danzare” con balletto in piazza nel sottofinale, ma ogni tanto ci si chiede, o perlomeno mi son chiesto: “Va bene, ma quando comincia il film?”.

Silvio Orlando e Barbora Bobulova, nei panni di Ennio e Vera, sono al solito bravi e misurati; Mathieu Amalric fa il produttore francese survoltato che pensa di fare “un film sovversivo”; Margherita Buy, alla quinta volta con Nanni, è perfetta come moglie ormai alla frutta, in cerca di aria. Moretti neanche prova più di tanto a recitare: declama alla sua maniera straniata, ma certo piacerà.

Quanto al Pci, “Il sol dell’avvenire” è il terzo film nel giro di pochi giorni, dopo “Quando” e “I Pionieri”, che s’interroga, tra dolcezza e nostalgia, su quella storia, su quella eredità, in chiave fortemente simbolica. Moretti ha votato per Elly Schlein segretaria, sarà curioso sapere come lei reagirà all’affresco tra personale e politico.

Michele Anselmi