L’angolo di Michele Anselmi
Come cambia la percezione di un film a distanza di tanto tempo? Cambia, eccome se cambia… Ieri sera sul tardi, stremato dalla commedia quirinalizia per fortuna finita così, ho cercato su Netflix qualcosa che non suonasse troppo recente, alla moda. C’era, un po’ nascosto nel menù, “Le sourire” del francese Claude Miller, che risale al 1994; il titolo mi diceva qualcosa, e poi mi sono sempre piaciuti i film con Jean-Pierre Marielle, spesso risultato sul grande schermo più vecchio di quanto fosse in realtà (all’epoca aveva solo 62 anni). Strada facendo mi sono tornate alla mente alcune immagini, anche la sensazione vaga di averne scritto sul mio giornale di allora, “l’Unità”. Era così: ne avevo parlato l’8 novembre del 1994 da Firenze, dopo l’anteprima di “Le sourire” a “France Cinéma”, la rassegna diretta da Aldo Tassone.
Solo che nel frattempo Miller e Marielle sono morti, l’uno nel 2012 e l’altro nel 2019, Emmanuelle Seigner, ancora signora Polanski, non assomiglia più tanto alla fresca e conturbante Odile, e oggi io ho 66 anni, più o meno l’età dell’avvilito neuropsichiatra protagonista della vicenda.
“Things Change” direbbe David Mamet, ed è vero; rivedendo quel film, di cui all’inizio nulla ricordavo se non il titolo maliziosetto che non si riferiva alla bocca, mi sono sentito più coinvolto e irretito, sia pure nell’andamento giocoso, impertinente e non realistico, anzi onirico, della messa in scena. Di sicuro ho capito meglio quanto Miller volesse raccontare di sé applicando alla storiella dello stagionato psichiatra e della stuzzicante tennista uno sguardo tra senile e voyeuristico, audace rispetto ai canoni estetici odierni, a tratti scurrile, come spesso è la vita, ma non banale. La verità? A quel punto ho avuto la sensazione che il film parlasse anche un po’ di me.
Qui sotto trovate la mia recensione da “France Cinéma ‘94” e la scheda di Morando Morandini sul medesimo film.
—-
■ di Michele Anselmi per “l’Unità” (8 novembre 1994)
Quella locandina proprio non è andata giù a Emmanuelle Seigner, ovvero la signora Polanski. Si vede un tornito sedere femminile in bianco e nero ornato di un tatuaggio, con in alto a sinistra il titolo “Le sourire” a caratteri da luna-park. Volgarotto? Fuorviante? Gratuito? Francamente esagera l’attrice a prendersela tanto col distributore, anche se si può discutere la scelta di fame l’immagine del film in vista dell’uscita. D’altro canto il “sorriso” in questione discende da una canzone di Paolo Conte, non saprei dire quale, particolarmente cara al regista Claude Miller, laddove si teorizza che “il solco delle tue natiche è il sorriso della mia vita”.
Film-evento di “France Cinéma ‘94”, “Il sorriso” ha richiamato sabato sera al Cinema Teatro della Compagnia un pubblico folto e incuriosito (non fosse altro per vedere di persona la bella coppia Seigner-Polanski). Certo, il tema è di quelli stuzzicanti: un colpo di fulmine tra un anziano psichiatra che sente approssimarsi l’infarto mortale e un’aspirante spogliarellista che impartisce lezioni di tennis ai ragazzini.
Respinto dalla Mostra di Venezia, secondo Aldo Tassone avrebbe addirittura “sconcertato i selezionatori”, il film uscirà nei cinema italiani distribuito da Vittorio Cecchi Gori, e chissà che non offra lo spunto per un dibattito onesto sulla sessualità senile.
Un po’ come succedeva all’ottuagenario Hugh Griffith in quel film di Polanski intitolato “Che?”, anche il dottor Jean-Pierre Marielle avverte su di sé il fiato della morte e i richiami della carne. Intristito, impotente, incapace di rispondere ai quesiti esistenziali, sempre più distratto nei confronti dei suoi pazienti, inclusa una graziosa ninfomane, lo strizzacervelli s’invaghisce dell’incantevole Emmanuelle Seigner, senza immaginare che anche la fanciulla non ci sta tanto con la testa.
Attratta da un imbonitore di luna-park che gestisce un quartetto di spogliarelliste, Odile è un concentrato di erotismo allo stato puro: enigmatica, sfuggente, sognatrice, sbadata e impertinente. Chiaro che lo psichiatra e la ragazza, dopo essersi sfiorati, schiaffeggiati e un po’ amati, si ritrovano sulla Cadillac rossa del cialtrone: li aspetta la resa dei conti sotto il tendone dello strip-tease, di fronte a un pubblico di maschi infoiati…
Claude Miller (“Guardato a vista”, “La piccola ladra”) parla del suo film come di una “féerie”, di un “doppio sogno” alla Schnitzler preso dalle sue fantasie, di una variazione sul mito di Faust. Ma è probabile che il pubblico fiorentino, non particolarmente caloroso, sia rimasto colpito dalla notevole audacia sessuale di alcune scene, meno gioiosa di quanto teorizzato dal regista, forse perfino sgradevole in certe digressioni.
Eppure “Il sorriso” non è brutto. Contrappuntato sui titoli di testa alla Woody Allen dalla pimpante “Jump for Joy” di Duke Ellington, il film omaggia il Buñuel di “Quell’oscuro oggetto del desiderio”, sfotticchia un po’ le tetre atmosfere di Ingmar Bergman, offrendosi come un’acuta riflessione sul tempo che passa, sulla pena dell’invecchiare, sui misteri dell’organismo e della sessualità declinante. (…)
—-
■ di Morando Morandini, dal dizionario “Il Morandini”
Il programma è raccontare l’erotismo in modi giocosi a due livelli: la giovane borghese e sportiva, tormentata dall’oscura tentazione di esibirsi in pubblico come spogliarellista; l’anziano neuropsichiatra, ossessionato dal pensiero della morte per vizio cardiaco, che rincorre un ultimo amore. Il titolo viene – dice Claude Miller – dal verso di una canzone di Paolo Conte: “Il solco delle tue natiche è il sorriso della mia vita”. Al finale a sorpresa si addice, secondo lui, una frase di Malraux: “Sono totalmente disperato, ma non triste”. Gli attori sono giusti, scelti bene come le musiche (Haydn, Schubert, ma anche “Jump for Joy” di Ellington). Qualcosa non quadra nel risultato complessivo: il film sbanda, incespica, s’ingorga. C’è una maniera, non uno stile.