L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per “il Secolo XIX”

E se per un po’, solo per un po’, il cinema italiano la smettesse di cucinare romanzi criminali alla vaccinara? Va bene: bisogna riscoprire i generi, e il poliziesco variamente declinato pare un toccasana al botteghino. “Suburra” in tre giorni ha incassato quasi 800 mila euro, sia pure con 430 copie, e di fatto s’è creato un clima da evento, soprattutto dopo Mafia Capitale e le dimissioni del sindaco Marino (lasciamo stare, per carità di patria, gli scatti del controverso Francesco Spada di Ostia con gli attori Favino e Amendola, certamente a loro insaputa).
Bisognerebbe, però, spremere il limone con giudizio. Invece Roma a mano armata furoreggia sugli schermi, piccoli e grandi. Ieri, alla Festa capitolina, ha fatto il pieno di applausi “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti, al punto, azzardano le agenzie di stampa, da oscurare perfino l’arrivo di Jude Law, da queste parti per girare “The Young Pope” di Sorrentino. Tra pochi giorni, sempre all’Auditorium, passerà “Alaska” di Claudio Cupellini, che non si svolge tra i ghiacci. A novembre esce “Viva la sposa” di Ascanio Celestini. Intanto sono ancora in sala “Non essere cattivo” di Claudio Caligari e “Per amor vostro” di Massimo Gaudino, presto passerà in tv “Senza nessuna pietà” di Michele Alhaique, mentre Stefano Mordini sta finendo il montaggio di “Pericle il Nero”.
Quasi tutti ambientati a Roma e dintorni, con gli stessi attori che girano da un film all’altro, Elio Germano e Pierfrancesco Favino, Luca Marinelli e Alessandro Borghi, in un tripudio di battute colorite, slang borgataro, sparatorie furiose, torture, ferocie, Rottweiler che azzanno alla gola, travestiti, tossici, puttane, paesaggi degradati, case kitsch modello Casamonica, con l’aggiunta di Ostia d’inverno che non guasta mai. I personaggi, naturalmente, hanno soprannomi coloriti, il Samurai, lo Zingaro, er Palletta, er Corto, er Lungo, er Braciola, er Caccola, er Cecato, eccetera, in una sorta di revival colto-ruspante der Monnezza.
Il noir, avrete capito, come zuppa buona per tutti gli ingredienti: un pizzico di antropologia post-pasoliniana, una cucchiaiata di politica corrotta e di sesso spinto, una dose di cinefilia stracult, nel ricordo naturalmente del “maestro” Fernando Di Leo. Quanto durerà la moda? Difficile prevederlo. Ma certo, come si diceva, “Lo chiamavano Jeeg Robot” ha scaldato ieri l’Auditorium romano. Applausi trionfali alla proiezione stampa, bissati in serata a quella per il pubblico. La differenza, rispetto ad altri film, sta nel fatto che il giovane Mainetti, servito dal copione di Nicola Guaglianone, inventa un supereroe coattissimo che viene dal quartiere di Tor Bella Monaca e si chiama Enzo Ceccotti.
«L’idea è nata pensando ai supereroi Usa, volevamo dare una risposta italiana a quei film senza fare un’imitazione» spiega il regista, classe 1976. Pensate a un mix tra “Romanzo criminale” e “Spiderman”, ma con l’occhio rivolto soprattutto a una certa nostalgia diffusa tra i quarantenni: cresciuti sul finire degli anni Settanta con la serie tv manga “Jeeg Robot”, canticchiando la popolare sigla di Fogus e sognando di essere il vindice Hiroshi Shiba. Un classico alla Tarantino, pure lui gran consumatore di manga giapponesi a tematica “mecha”, infatti si sprecano i riferimenti a “Kill Bill” e “Le Iene”, mentre il finale aperto, con super Ceccotti che in cima al Colosseo veglia sulla Capitale con la maschera di lana simil Jeeg Robot, sembra fatto apposta per un seguito. Se il pubblico apprezzerà.

Claudio Santamaria incarna, senza calzamaglia, l’eroe in campo. Un balordo taciturno, pornografo e anaffettivo che scopre di possedere una forza sovrumana dopo essere caduto… nel Tevere. Lentamente, nel rapporto con una fanciulla sciroccata, metterà al servizio del Bene quel superpotere, pronto a vedersela con una specie di Joker forte come lui interpretato da Luca Marinelli. «Ho lavorato sul carattere del mio personaggio, un ragazzo di periferia che dice quattro parole, perché da quelle parti devi giocare a fare il duro» racconta. Insomma, Ceccotti come un parente proletario dell’Uomo Ragno. «Visto cosa gli accade, forse sarebbe meglio chiamarlo l’Uomo Rogna!» celia l’attore. Tutti ridono. Qualcuno intona sottovoce: «Corri ragazzo laggiù / vola tra lampi di blu / corri in aiuto di tutta la gente / dell’umanità».

Michele Anselmi