L’angolo di Michele Anselmi

Mettete insieme questi tre elementi: il ritorno al cinema di Paul Verhoeven, oggi 84enne; l’audace prova dell’attrice Virginie Efira, una delle mie preferite in assoluto; il manifesto internazionale del film, bello e allusivo. “Benedetta” arriva nelle sale con Movies Inspired, giovedì 2 marzo, con discreto ritardo rispetto al passaggio in concorso a Cannes 2021. Non direi proprio che sia “il capolavoro di Verhoeven”, come pure ho letto da qualche parte, ma incuriosisce la vitalità del cineasta olandese che si fece conoscere negli anni Settanta con “Kitty Tippel” e “Soldato d’Orange”, fece fortuna a Hollywood con successoni come “Basic Instinct” e “RoboCop”, per poi tornare dalle sue parti, nei Paesi Bassi, a girare un film sull’occupazione nazista, “Black Book”.
Gira e rigira, il sesso, la trasgressione e il desiderio erotico hanno sempre esercitato un ruolo centrale nel cinema di Verhoeven; non fa eccezione “Benedetta”, che ritocca la figura, realmente vissuta, di suor Benedetta Carlini, toscana di Vellano, mistica e veggente vissuta tra il 1591 e il 1661. Sulla discussa badessa teatina esiste un libro biografico di Judith C. Brown intitolato “Atti impuri”, pure un testo teatrale di Rosemary Rowe che la definisce “suora lesbica del Rinascimento italiano”. Ma ho la sensazione che, alla fine, il regista olandese e il suo sceneggiatore David Birke abbiano guardato più al cinema di Walerian Borowczyk che a quello di Alan Cavalier, insomma più a “Interno di un convento” che a “Thérèse”.
Nei primi anni del Seicento la piccola Benedetta, già devota alla Madonna, viene accompagnata dai genitori benestanti nel convento di Pescia, e lì viene accolta per 100 scudi d’oro più frutta e verdura. Una pesante statua della Vergine le cade addosso ma la ragazzina ne esce incolume, e già qualcuno grida al miracolo; figurarsi quando, ormai donna fatta, bionda e attraente, dopo aver baciato Cristo in croce in una fiammeggiante visione, si ritrova con le stimmate canoniche (mani, piedi, costato). Mancano i segni della corona di spine sulla fronte, ma qualcuno provvederà: lei o lo Spirito Santo?
Fatto sta che la leggenda di suon Benedetta cresce nelle contrade, sicché il potente prevosto, in quel clima di Controriforma, licenzierà la vecchia badessa per affidare a lei, la “miracolata”, la guida del convento. Solo che Benedetta, nel frattempo, ha scoperto un altro tipo di estasi copulando con la novizia Bartolomea, una pastorella violentata dal padre e accolta nel convento, e le voci su quel legame scandaloso si fanno sempre più insidiose… Del resto una sorella l’aveva avvertita, tanti anni prima: “Il tuo peggior nemico è il tuo corpo”.
Tra digressioni kitsch e affondi pop, Verhoeven, per nulla interessato alla dimensione mistica della faccenda, orchestra un film malizioso, certo anche beffardo, ricolmo di nudi femminili, che gioca con la materia, facendo di Benedetta una lucida invasata: pronta a prendersi il proprio piacere attraverso un sex-toy a forma di bigolo ricavato da una statuetta della Vergine e al tempo stesso sentendosi “santa”, impermeabile ai sospetti, pure alle fiamme del rogo.
Girato in Italia tra Bevagna, Montepulciano e Caprarola, “Benedetta” è parlato in francese nella versione originale, per una volta il doppiaggio rende più verosimile il contesto italico. Diciamo che l’accuratezza storica si ferma agli interni, alle vesti, alle scenografie, il riferimento alla peste del 1630, che pure risparmiò Pescia, serve a rendere l’orrore e il fanatismo di quei tempi; ma per il resto Verhoeven arpeggia sulla sua vecchia tastiera, divertendosi a spogliare le due religiose amanti, a mostrare come godano l’una dell’altra, a impaginare un iconografico Gesù armato di spada che appare in sogno alla suora, e vai a sapere se c’è un disegno di Dio in tutto ciò.
A volte viene da sorridere, specie quando Benedetta, come posseduta, cambia voce e pare uscire da “L’esorcista”, ma vedo che molti critici hanno preso sul serio il film, forse ritenendolo l’ultima unghiata di un cineasta di culto. Le belghe Virginie Efira e Daphné Patakia sono Benedetta e Bartolomea, dai corpi sensuali, moderni e depilati; Charlotte Rampling è la severa badessa che annusa la blasfemia ma esita a denunciare (anche in lei risuona un sospetto di lesbismo); mentre Lambert Wilson è il vizioso Nunzio apostolico che apparecchia il patibolo per la presunta impostora senza fare i conti con l’umore popolare e i bubboni.

Michele Anselmi