L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor

Già nel 2005 l’equipaggiamento di ogni singolo soldato americano costava 17.500 dollari. Moltiplicate la cifra per 2 milioni di uomini (quanti ne sono stati utilizzati in Afghanistan e in Iraq) e fate voi il conto. Di sicuro lo fecero David Packouz ed Efraim Diveroli, due ragazzotti poco più che ventenni di Miami, entrambi ebrei, i quali, partendo praticamente dal nulla, riuscirono a mettere in piedi un florido mercato di armi che valse loro un favoloso contratto col Dipartimento della Difesa da 300 milioni di dollari. Non finì tanto bene, però, come racconta “Trafficanti”, il curioso film di Todd Phillips che esce il 15 settembre, targato Warner Bros.
Sì, avete letto bene: Phillips è il regista della fortunata trilogia “Una notte da leoni”, infatti Bradley Cooper, nel frattempo asceso a divo planetario, co-produce il film e vi recita in un ruolo secondario. Non che il tema sia nuovo, da “Finché c’è guerra c’è speranza” di e con Alberto Sordi al più recente “Lord of War” di Andrew Niccol con Nicolas Cage; tuttavia “War Dogs”, questo il titolo originale, introduce un elemento di survoltata follia, ancor più spiazzante perché trattasi di storia vera, raccontata su “Rolling Stone” dal giornalista Guy Lawson sotto il titolo “Arms and the Dudes” (una versione più ampia esce ora in libreria con Piemme).
«La guerra è un’economia, chiunque dica il contrario o ci mangia sopra o è uno stupido» è il mantra di Efraim, lo sbruffone dei due, un ciccione vitalista cresciuto nel culto di “Scarface” versione Pacino-De Palma, abile nel bluffare e recitare. Non faticherà molto, il cinico furbacchione, a coinvolgere l’antico compagno di scuola David, in attesa di un figlio e stanco di fare penosi massaggi a domicilio a 75 dollari l’ora. Un carico di pistole Beretta destinato ai poliziotti di Bagdad armati dagli Usa è il primo colpo messo a segno con insperata fortuna, pure molto rischiando la pelle; e a quel punto i due, già arricchitisi, tentano il gran salto milionario. Scorrendo il sito della Difesa americana scoprono che in Afghanistan urgono 100 milioni di proiettili per Kalashnikov. Una parola trovarli. Ma un supertrafficante d’armi finito su una “lista nera”, e quindi in cerca di mediatori, li indirizza in una tetra Albania post-comunista, dove giacciono in un hangar infinite scorte di vecchie pallottole cinesi a prezzi convenienti. Ma sono, appunto, cinesi, quindi per poterle vendere al governo statunitense bisogna camuffarle un po’…
Jonah Hill e Miles Teller, l’uno lanciato da “L’arte di vincere” e l’altro da “Whiplash”, incarnano i due avventurieri che, nella deregulation più assoluta imposta dalla seconda presidenza Bush, riuscirono per due anni a farla franca, gabbando praticamente tutti o quasi in questa redditizia e piuttosto immorale “corsa dell’oro”. Non che fossero repubblicani o filo-Cheney, anzi tutt’altro; ma l’odore dei soldi, in un’ottica da stravolto Sogno Americano sballato dalla cocaina, lì portò ad affinare tecniche e a contraffare documenti, fino ad arrivare a un passo dal trionfo. Poi, invece, il fattore umano…
Il film è sopra le righe, esagerato, a tratti divertente, nonostante il tema fosco. D’altro canto, la truffa al cinema è sempre materia avvincente; qui, in più, la “stangata” è addirittura ai danni del governo americano, ma secondo procedure legali, il che rende tutto ancor più paradossale, insensato, istruttivo.
Al botteghino Usa il film non ha funzionato bene, il sito Imdb parla di appena 40 milioni di dollari al 9 settembre, magari si rifarà nel resto del mondo. Finché c’è guerra, appunto, c’è speranza.

Michele Anselmi