Con Catherine Spaak, morta a 77 anni dopo una lunga malattia, se ne va un certo tipo di donna che rivoluzionò il cinema italiano dei primi anni Sessanta. L’attrice belga, figlia del gran sceneggiatore Charles Spaak, scoperta adolescente da Alberto Lattuada per il suo “I dolce inganni”, custodiva un fascino unico, speciale: aveva qualcosa di Françoise Hardy, ma era più morbida, maliziosa e innocente insieme sotto frangetta e caschetto, dotata di uno sguardo insinuante e di un corpo agile, slanciato, da gazzella, così diverso da quello delle “maggiorate” allora in voga. Per tanto tempo non parlò con la sua bella voce nei film a causa dell’accento francese, ma quando poi la sentimmo cantare, e cantava benissimo (ricordo una sua trasmissione radiofonica alla domenica mattina), capimmo che quel timbro faceva tutt’uno con il suo volto, i suoi capelli, la sua bocca, le sue gambe. Già nel 1962, con “La voglia matta”, la giovane belga che aveva recitato in qualche film diventò una presenza fissa nel cinema italiano, penso a titoli come “Diciottenni al sole”, “La noia”, “La calda vita”, “La matriarca”, “Il sorpasso”, “La parmigiana”, girati l’uno di seguito all’altro. Di solito incarnava una ragazza disinvolta e allegra, non proprio una “Lolita” ma quasi, una sorta di “sogno proibito” di uomini più adulti o addirittura anziani.
Possedeva un notevole charme, e certo la fanciulla ritenuta un po’ scandalosa, a diciotto anni già madre e oggetto di un’ingiusta condanna che le sottrasse la figlia, riuscì a imporsi sul mercato delle commedie anche d’autore con la sua freschezza e bellezza non convenzionali. Molti anni dopo avrebbe raccontato il lato oscuro di quel successo, tra piccole molestie sessuali e atteggiamenti maschilisti per nulla simpatici, come ad esempio sul set di “L’armata Brancaleone”. Disse in proposito: “Quando arrivavo sul set Monicelli, Gassman ed altri mi prendevano in giro. Era fastidioso, mi dicevano parolacce e mi chiamavano con nomi molto spiacevoli. Sul set le donne erano trattate in una maniera ingiusta e poco rispettosa. Bisognava avere un carattere molto forte ed essere rigorosi per ottenere rispetto”.
Non so come fosse nella vita vera, ho parlato con Spaak solo due o tre volte, per questioni di lavoro, ma la rividi volentieri in tv su Raitre, dove condusse una fortunata trasmissione, “Harem”, prima che anch’ella, nel tentativo di opporsi ai segni naturali dell’età, fosse colpita dal demone malefico della chirurgia estetica.
Michele Anselmi