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“La strada” di Federico Fellini, un film su artisti girovaghi e un circo itinerante, ha davvero ispirato “Mr. Tambourine Man” di Bob Dylan? “Gli insegnamenti di Don Juan – Una via Yaqui alla conoscenza” di Carlos Castaneda ha davvero fornito lo spunto per un’ulteriore canzone di Dylan, “Señor (Tales of Yankee Power)”?
Nel suo libro Castaneda incontra uno stregone messicano, un indiano Yaqui chiamato Don Juan che lo introduce all’uso di piante allucinogene, ai segreti dello sciamanesimo e una possibile via per la saggezza. Una volta ingerito il cactus del peyote nel corso di una cerimonia psichedelica, si suppone che l’adepto acceda a dimensioni percettive intensificate. Il metodo richiede una severa disciplina, alcune regole base da seguire come, ad esempio, la necessità di condurre una vita morigerata quando non si sta sperimentando con le droghe. Non la comunicazione verbale, bensì colori e suoni risultano fondamentali per stabilire un contatto tra il nostro mondo tangibile e quello spirituale.
In una delle sue ultime canzoni, “Crossing the Rubicon”, Dylan racconta di essersi svegliato all’alba e di aver dipinto il suo carro ma non specifica il colore. Nella strofa successiva ci dice che il Rubicone è un Fiume Rosso, “più rosso delle tue labbra di rubino e del sangue che sgorga dalla rosa”. Anche il testo di “Señor” menziona un carro dipinto. Nella canzone il protagonista avverte l’odore della coda di un drago mentre un altro personaggio di stirpe gitana e con un anello abbagliante gli spiega che la situazione in cui si trovano non è più un sogno, è una cosa vera. “’Cross the Green Mountain”, una ballata sulla Guerra Civile scritta da Dylan per il film “Gods and Generals”, si apre con un sogno mostruoso del protagonista: qualcosa di inafferrabile sta salendo dal mare per diffondersi su tutto il territorio. Che si tratti della coda del drago? Il colore verde è predominante.
Federico Fellini, in un’intervista con Toni Maraini del 1992, ha sottolineato la sua capacità di “cromatizzare i suoni”, di tradurre i suoni in colori, “l’equivalente cromatico del suono”. Nella stessa intervista ha menzionato i suoi rapporti con Carlos Castaneda. Fellini aveva subito il fascino degli “Insegnamenti di Don Juan”, un lavoro di ricerca scritto con approccio antropologico da uno studioso che letteralmente perlustrava il terreno, i campi, gli orti, le radure, in cerca di funghi. Ma Fellini provava contemporaneamente un senso di alienazione nei confronti delle visioni del mondo di Castaneda e Don Juan, come se avesse intravisto in loro un elemento quasi inumano, privo di emozioni, qualcosa di rettiliano che definì “una lucertola verde” nella sua conversazione con Toni Maraini.
Immediatamente dopo l’incontro con Castaneda a Los Angeles nel 1984, Fellini capì di essere stato catapultato – contro la sua volontà – in un’esistenza parallela attraverso un portale. Iniziarono per lui le persecuzioni da parte di un’enigmatica voce sovrannaturale che cercava di controllargli la vita e lo costrinse insieme al suo team a intraprendere un viaggio nel cuore dello Yucatan, come documentato dalla sua graphic novel “Viaggio a Tulum” pubblicata sul Corriere della Sera. Quella voce d’oltretomba aveva un suono metallico quando gli parlava al telefono o attraverso altri canali di comunicazione, come se un campo magnetico l’avesse distorta. Fellini stava obbedendo alle istruzioni impartitegli dalla voce quando s’imbarcò in un viaggio on the road attraverso la frontiera messicana fino alle piramidi di Tulum. Poi essa gli parlò di musica e colori. Durante lo svolgersi dell’avventura la voce affibbiò a ciascun membro del team un colore particolare in modo da creare un ponte tra dimensioni parallele, tra un’imperscrutabile intelligenza cosmica e l’energia umana. Fellini fu designato come “il verde”. Man mano che le richieste provenienti dalla voce si fecero sempre più incalzanti nella loro bizzarria Fellini, inquietato, abbandonò l’idea di trarre un film dalle esperienze extrasensoriali di Castaneda. Non avrebbe acconsentito a diffondere il messaggio universale dei suoi presunti mentori in un film, chiunque essi fossero. Voleva solo essere lasciato in pace. Ma il mistero della voce non smise mai di perseguitarlo e lo accompagnò fino all’ultimo dei suoi giorni.
“La voce della Luna”, il testamento artistico di Fellini, può essere interpretato come un atto di ribellione contro le intrusioni della voce. Il regista ha perso fiducia nell’ignoto. I personaggi del film cercano il misticismo nella Luna solo per scoprire che lì non c’è niente che valga veramente la pena. Il loro cammino spirituale porta ad un’amara delusione. La loro ricerca di significato viene frustrata dal nulla. Nel suo ultimo film, Fellini decide di ignorare qualsiasi sussurrio proveniente dall’altrove. Si è convinto che prestare attenzione alla voce della luna vuol dire trasformarsi in marionette azionate da un burattinaio incapace di arrecare alcun conforto psicologico, perché irrispettoso delle vere emozioni umane. Per questo motivo Fellini si distanzia da un’esperienza che considera ormai priva di alcun valore.
In “License to Kill” di Bob Dylan la luna svolge un ruolo negativo. “L’uomo ha inventato la sua disfatta / il primo passo è stato toccare la Luna”, canta Dylan, come se l’intero concetto di missione spaziale fosse stato una pessima idea. Come se la nostra civiltà non fosse ancora pronta per una spedizione di quella portata. Dylan intravede forse un lato oscuro nell’allunaggio? L’ultimo film di Fellini ritrae l’arroganza degli uomini, l’ambizione di porsi a capo dell’universo e addirittura – in maniera assurda – di catturare la Luna. Carlos Castaneda conobbe Don Juan in una stazione degli autobus al confine tra Messico e California. Acconsentì alla proposta di imparare l’antica saggezza del suo guru riguardante le piante allucinogene, la stregoneria e la manipolazione di oggetti carichi di potere. In uno dei passaggi degli “Insegnamenti di Don Juan” Castaneda afferma di aver imparato a volare. Fellini, al contrario, si ribellò ai suoi mentori rifiutando il loro sapere esoterico. Dylan stava viaggiando su un treno attraverso il Messico quando vide un vecchio di circa centocinquant’anni sedersi accanto a lui nella carrozza. Sentì una vibrazione nell’aria. Fu questo avvenimento a indurlo a scrivere “Señor (Tales of Yankee Power)”, come ha raccontato al pubblico di uno suo concerto del 1978. A Dylan furono forse offerte ali con cui spiccare il volo? Accettò l’invito? Si diresse “verso le colline”, tanto per usare la terminologia di Castaneda, in cerca di strane cerimonie?

Marco Zoppas