Roberto Faenza

 
Allora Scalfari perché l’ho invitato e perchè lo ringraziamo..un mese fa sulle pagine di Repubblica ha scritto un articolo molto bello e interessante sul cinema italiano, che Ferrarotti poco fa ha citato. Mi sembrava che in questo articolo tu mettessi l’accento sul fatto che forse il cinema italiano, come poco fa diceva Ferrarotti, parla poco dell’Italia perché non ha quel linguaggio che forse invece aveva un tempo quando tu citavi il neorealismo e i grandi momenti del nostro miglior cinema. Mi piacerebbe allora se ci raccontassi cosa ti ha motivato a scrivere questo articolo e cosa pensi del fatto che oggi, tutto sommato, c’è un successo del cinema italiano giovanile. Abbiamo qui gli autori di maggior successo come Brizzi, De Biasi, il cinema giovanile che oggi incontra un suo pubblico e sembra che abbia trovato un suo linguaggio. Pensi sia davvero così o resti ancora della tua opinione? E grazie intanto per essere qua.
 
Eugenio Scalfari
 
Grazie a voi che mi avete invitato. Io sono un utente del cinematografico, ci vado con una certa passione, seguo i film ma non sono né un critico cinematografico, né un regista, né un produttore. Perciò il mio poco pensiero sull’argomento arriva da un`altra parte, laterale se vogliamo. Cioè la comunicazione, dove ho qualche titolo per parlare. Il cinema è comunicazione specifica con delle sue forme che però obbedisce in qualche modo al problema del linguaggio che è poi quello comune a tutte le forme di comunicazione. E naturalmente poi nella comunicazione si distingue quel prodotto che arriva addirittura a qualità artistiche. Non tutta la comunicazione riesce in questo, spesso sono semplicemente prodotti artigianali. Quello che faccio io per esempio, giornalismo, è artigianato e non arte. Il cinema è a cavallo ci sono forme puramente artistiche di comunicazione, come gli affreschi della Cappella Sistina, dunque a volte è artigianato più o meno buono e a volte arriva ad un livello artistico. Io ho sentito, del resto con Faenza ne abbiamo parlato più volte, forse sconfinerò ma vorrei analizzare due o tre problemi che si pongono quando parliamo del cinematografo. Il primo che vorrei subito affrontare, come accenna Roberto, è quello dei finanziamenti e tutto quello che ne deriva dal punto di vista del potere che si autodifende. Qui ha ragione Ferrarotti quando ribadiva che il potere si autodifende, è ovvio. Voglio dire non è certamente un peccato che lo faccia. Si lotta, la politica è la lotta per la conquista del potere e una volta conquistato chi lo detiene lo difende. Ci sono sicuramente modi e modi di farlo, alcuni sono vituperosi e altri invece nella legittimità delle leggi e dello stato di diritto. Certamente le commissioni obbediscono e inducono all’autocensura e in questo hai perfettamente ragione. Succede anche nel giornalismo, scusate se ogni tanto mi riferisco a questo ambito che mi è più familiare. L’autocensura c’è anche nel giornalismo, si pensa che è bene non irritare il potente e quindi ci si autocensura. A volte il potente sarebbe anche disposto a ospitare delle critiche attraverso una qualunque forma di linguaggio, perché quelle a volte lo legittimano. Vedete io faccio fare anche film contro di me. Ecco se il potere è intelligente queste cose le capisce, ma spesso il potere è anche stupido e vieta e i potenti si autocensurano. Questo dipende anche dalle debolezze dei caratteri dei singoli operatori. Faccio ancora un richiamo alla mia personale esperienza personale: non ho mai pensato che si potesse fare un giornale in deficit, per dire che dei film che non incassano e non fanno cassetta secondo me, non sono dei buoni prodotti. La cassetta è un segnale che viene dal mercato e quindi un film che fa cassetta, non dico che sia un buon film, ma è la condizione necessaria, anche se insufficiente, per fare un prodotto valido. Se fa solo cassetta è quello che diceva prima Roberto quando dava alcune cifre, c’è un’impennata negli incassi del 30%. Lui poi esaminava la qualità dei film, o sono dei “cinepanettoni” e hanno la funzione di far ridere le platee senza chiedere troppo, oppure sono dei film che lui definiva “giovanilistici”. Con questo termine credo tu intenda dei film che raccontano, come ha detto lo stesso Ferrarotti, si autoraccontano. Il regista ha avuto delle esperienze o si è guardato intorno, ai suoi coetanei e ai suoi amici, e racconta questo tipo di cinema. Io li chiamerei minimalisti, nel senso che esaminano delle piccole tranche de vie molto ripetitive perché una generazione si atteggia in un certo modo e vive certe esperienze che più o meno ripetono se stesse con leggerissime varianti. Siamo all’artigianato e se fanno cassetta va bene. Non raccontano il paese, né per aderire a quel paese né per criticarlo. Qui vengo al secondo problema, quello dei valori e rapporti con il linguaggio. Nella polemica che ci fu 7-8 mesi fa sul linguaggio del cinema, fu detto da alcuni che esso è scarso, i prodotti insufficienti perché la nostra società è priva di valori. Non è vero, io dissento da tutto ciò, non perché la società li abbia questi valori perché non li ha. Possiede cioè dei valori correnti che sono in realtà dei disvalori, ma le forme di comunicazione artistica proliferano anche in società prive di valori e in maniera maggiore rispetto alle altre. In quell’articolo che mi avete ricordato io ho fatto molti esempi di questo. Tutta la fioritura artistica del rinascimento avviene in corti e società totalmente corrotte e deturpate. Pensiamo a cos’era la corte pontificia di quell’epoca e non solo quella. Non esistevano valori. Esistevano disvalori, eppure c’è stata una fioritura nella pittura, scrittura poesia, i grandi italiani dal punto di vista del pensiero e dell’arte avvengono in quel periodo, in una società totalmente desertificata di valori. Pensate a che cosa fu la corte di Napoleone 3°, nella seconda metà dell’800, dove comandavano i palazzinari e i finanzieri, la società era completamente priva di valori ma proprio in quel periodo nasce il grande romanzo francese che comincia con Balzack e si chiude con Proust. Pensate a che roba che è venuta fuori, si chiude con Baudelaire. E’ la grande stagione della narrativa francese. Pensate alla grande narrativa russa che nasce nel momento più biego della dittatura poliziesca Zarista, con quella società che Gogol descrive nelle sue anime morte, o Tolstoj racconta nei suoi romanzi, senza parlare di Dostojevski. La grande fioritura letteraria narrativa russa, che domina poi insieme a quella francese l’intero ‘800, accade in quei momenti. Il problema dei valori non c’entra quindi con il linguaggio e con la dignità anche artistica di un prodotto. Noi abbiamo avuto un linguaggio cinematografico, lo si può scoprire perfino nell’epoca dei telefoni bianchi dove con le cautele imposte da un regime dittatoriale, c’era una forma di linguaggio di cui uno dei massimi esponenti fu Blasetti. E’ un tipo di linguaggio. E poi c’è la grande stagione del neorealismo che avviene in una società che vuole rinascere dopo le rovine e dominata da interessi molto forti e ideologie molto forti. Dell’una e dell’altra chiesa, quella nei cieli e quella in terra. Eppure c’è un linguaggio che racconta senza aderire particolarmente né all’una né all’altra. A cosa aderisce allora? Quali sono i valori del neorealismo? Lo dicevano nel titolo stesso dato dai critici, è cioè la realtà che vien fuori in ciascuno di quei film. Sia quelli che la raccontano, come Roma città aperta, Ladri di biciclette, Sciuscià, che costellano quell’epoca, sia invece quando si rifanno a delle storie che non hanno a che vedere col presente ma sono comunque delle storie. Non perché Roberto sia qui, ma come può venire in mente, senza che questo risenta di alcuni echi della società presente, di portare sulla scena il romanzo di De Roberto e di fare I Vicerè? Poi c’è stato pure qualche bello spirito che ha detto per I Vicerè Veltroni piuttosto che dare…bubbole! I Vicerè certamente risentono dell’aria del tempo, ma l’appiglio è un grande romanzo dell’800 italiano e con le differenze che quel libro e l’idea e l’interpretazione, che il regista gli ha conferito, sono notevolmente diverse da quelle da quelle di Lampedusa e del Gattopardo. Non voglio fare paragoni con film che hanno due tipi di finanziamenti diversi, attori e registi diversi. Dico solo che mentre il
Gattopardo dà una visione positiva finale, perché l’aristocrazia siciliana, sia pure con i suoi limiti e cautele, si schiera a favore di una soluzione politica che è certamente, rispetto a quella esistente prima, più avanzata. I Vicerè invece perpetuano una visione feudale e crudele della società, lui così l’ha letta la società oggi. S’è rifatto a una storia di un secolo e mezzo fa quindi non c’è bisogno di fare un film, perdonami, sull’esempio di Stone che fa un film contro Bush. Qualcuno qui l’ha fatto con Il caimano, ma non credo sia tra i miglior film di Moretti che in questi mesi ha inventato però un linguaggio, in parte quello morettino di sempre e in parte lo rinnova. Un attore praticamente solo, fermo o passeggiante intorno ad una panchina e fa l’incasso che fa, non è giovanilismo o cinepanettone ma una forma d’arte, una scoperta di linguaggio. Ultimo problema, tornando ai valori e disvalori, è quello che ci sono delle “scuole” e trend cinematografici che hanno raccontato la società aderendo positivamente ad essa. Ciò che avviene, per ricollegarmi con quanto detto prima, è che la comunicazione e le sue forme emergono nei momenti di disvalore della società, ma non sempre è così. La grande stagione Hollywoodiana, non quella di adesso, ha diffuso nel mondo l’american way life, ovvero il modo di vivere americano. E perché ha potuto farlo attraverso forme artisticamente valide? Perché lì c’è un impero alle spalle e quando c’è questo il tipo di linguaggio cambia, non è “contro” ma “per”. Non è detto che il linguaggio “per” sia necessariamente piangeria, quando ha alle spalle un impero può esser infatti esportatore dei suoi modelli di vita. E’ strano questo! Di fronte a opere di livello superiore il potere esita a colpire, e molto. Ricordatevi che Benedetto Croce, adesso sembra che non parli di cinema ma sono cose che si autosostengono, era antifascista, salvo all’inizio, lo fu per 40 anni e senza che fu mai toccato dal regime fascista. Perché tale era la dignità del pensiero crociano, che il regime non si sentì di farlo. Ecco non tutti i regimi furono così, Stalin se ne fregò altamente della dignità, Hitler non ne parliamo, ma Mussolini che era una dittatura “debole”, non totalizzante. Devo dire che certamente Gramsci non faceva opere d’arte, faceva filosofia ma sulla sponda di un partito militante io invece sto parlando di personaggi che isolatamente producono. Ad ogni modo l’impero porta in giro la propria bandiera imperiale e non sempre è piangèria. Questa fu la stagione hollywoodiana, oggi c’è una stagione che si affida soprattutto al cinema indipendente che ha creato un linguaggio. Ultima osservazione, qualcuno ha detto che il cinema non si può equiparare al singolo operatore perché è un prodotto che si fa in team e quindi è più difficile individuare dove stanno i meriti e le responsabilità e gli scacchi. Normalmente, e voi lo sapete tutti meglio di me, il responsabile è il regista è lui che dà il tocco la tonalità e l’ispirazione che avviene anche con dei dettagli e delle luci e dei movimenti di macchina. Avviene in tanti modi ma è comunque il regista che è quello che di solito sceglie il cast e ha maggiore influenza. A volte però viene anche dagli attori, alcuni di questi dominano sul regista. Prendete Sordi che è stato anche regista, scadente secondo me, ma dominava sempre il regista. Ma non è solo lui ce ne sono tanti altri, Hopkins, Eastwood, come attore ache se adesso fa anche il regista. E poi ancora Redford, ecco in questi casi il peso dell’attore è equivalente o addirittura soverchia quello del regista. Quindi è per dire, concludo, che il cinema è una cosa complessa ed è in parte artigianato e in parte forma d’arte e come tutte le forme di comunicazione importante si alimenta soprattutto dal fatto di esser un “contro potere” che controlla il potere. Se vuole e se sa, e se ha il coraggio di farlo, è sempre premiato anche dal botteghino. Spero che l’amico Rossella, che vedo con grande piacere e che ha delle responsabilità sull’argomento, condivida quello che ho detto, perlomeno in buona parte. Lui può fare molto, essendo alla testa di una casa cinematografica che ha una proprietà alle spalle e può interpretare al meglio gli spazi che la stesa proprietà gli lascia. E’ un tema importante.

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