Incontro con Nicola Borrelli | L`editoriale di Roberto Faenza
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L’intervista in esclusiva che Cinemonitor pubblica oggi con Nicola Borrelli, Direttore Generale del Cinema del MIBAC, è interessante perché giunge in un momento particolare. Il precipizio che si stava palesando agli occhi degli operatori del settore, dagli autori ai produttori, sembra allontanarsi. Salvo mutamenti dell’ultima ora, pare finalmente scongiurato il pericolo del “tutti a casa”. Strano paese davvero il nostro. Sino a pochi giorni fa tutto sembrava perduto, stavano scendendo in lotta sindacati e associazioni varie, poi l’inatteso colpo d’ala del governo. Non più la paventata proposta di aumentare il costo dei biglietti di un euro, a partire dal prossimo luglio per coprire il disavanzo del FUS (il famigerato Fondo Unico per lo Spettacolo). La proposta di tale aumento era stata contestata in particolare dal mondo degli esercenti. In sua vece, viene ora proposto un modesto prelievo sulle accise della benzina, in pratica una imposta sui consumi (altrimenti detta imposta di scopo). Le accise sono tasse introdotte per raggiungere determinati obiettivi e coprire una serie di spese ricorrenti. Nella fattispecie sulle accise gravano anche le tasse più assurde, a partire da quelle per coprire le spese del disastro del Vajont del 1963 e persino della guerra di Abissinia del 1935! Oltre ai carburanti, le accise vengono applicate al gas, all`energia elettrica, agli alcolici e ai tabacchi.
Non tutti sanno, ma è bene ricordarlo, che quasi la metà dei fondi FUS vanno alla lirica (per l’esattezza 47,5 per cento). Il resto è così suddiviso: il 18,5 per cento al cinema, il 16,3 al teatro, il 13,7 alla musica, il 2,3 alla danza e l`1,5 per cento agli spettacoli circensi. Per scongiurare il disastro annunciato nel caso di ulteriori detrazioni al FUS, il governo ha dunque programmato un intervento reso pubblico dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, che ha assicurato la reintegrazione dei fondi per la cultura per l`anno in corso. Al FUS dunque dovrebbero andare circa 438 milioni. Di questi, circa 140 milioni per lo Spettacolo, 80 per la Conservazione dei Beni culturali e infine 7 milioni per gli istituti culturali e altro ancora. Analizzando l’intervista con il direttore Borrelli si evincono dei dati sorprendenti. Intanto apprendiamo che nel corso del 2010 abbiamo realizzato ben 114 film, oltre a 27 coproduzioni, per un totale di 141 pellicole. A mio avviso un numero di certo stimolante per l’industria, ma di troppo superiore a quanto il mercato sia in grado di assorbire. Il primo risultato di un eccesso di produzione è sotto gli occhi di tutti: titoli che appaiono e scompaiono nello spazio di un weekend, quando nel caso peggiore neppure vengono distribuiti.
Altro dato interessante viene dal totale degli investimenti: nel corso del 2010 sono stati investiti 312,2 milioni di euro, 35,4 milioni di contributi dello stato, 33,8 milioni di agevolazioni fiscali. I privati hanno dunque immesso sul mercato 243 milioni, lo stato 69,2 milioni. Pertanto i primi hanno investito il 77,9%, lo stato il 22,1%. Tutto sommato in Italia la spesa pubblica per il cinema è poca cosa rispetto a quanto viene speso in altri paesi europei, ma lo è soprattutto rispetto all’indotto che questa industria crea in termini di occupazione e di contributi allo stesso PIL. Altro dato di rilievo concerne il risultato del cosiddetto box office, ovvero quanto denaro generano i biglietti staccati al botteghino. La somma complessiva del 2010 è di 734.234.143 euro, di cui 200.167.854 derivano dalla quota di film italiani e 14.835.399 da film di coproduzione. Quindi complessivamente la quota italiana, inclusi i film coprodotti, è del 29,28%. Una percentuale che riporta la nostra produzione ai vertici dei tempi migliori, quasi 6 punti in più rispetto al 2009. Se confrontiamo questo dato ad esempio con l’andamento del mercato USA del 2010, osserviamo che oltreoceano si è perso circa il 7% rispetto al 2009, mentre noi guadagniamo quasi altrettanto.
Ma la rivelazione più incoraggiante viene dal cuore dell’intervista. Sino a poche settimane fa la stessa ANICA, l’associazione dell’industria cinematografica italiana, riteneva che l’intervento pubblico nella produzione fosse pari a uno scarso 11%, mentre oggi, alla luce dei benefici derivanti dal credito di imposta, possiamo constatare che è addirittura raddoppiata, se è vero che si attesta al 22%. Infine una nota ampiamente positiva per l’intero comparto della cultura arriva dal recentissimo studio di Federculture (la Federazione dei servizi pubblici per cultura, sport e turismo). Il 2010 rispetto al 2009 ha segnato un vero e proprio boom di presenze al cinema (+ 13,2%), di incassi a teatro (più 3,78 %), un forte aumento di pubblico ai concerti di musica classica (più 5,9%), un picco di vendite dei biglietti museali (più 6,4% di presenze). Di contro, si segnala un calo degli spettacoli sportivi (meno 40,82%) e delle attività danzanti, in primis delle discoteche (meno 11,95%). E’ vero che rispetto alla Francia, che nel 2010 ha investito in cultura 46 euro pro capite, noi siamo sotto, avendo investito soltanto 20 euro. E’ altrettanto vero che il World Economic Forum ha valutato come deficitaria la nostra competitività in campo culturale, piazzandoci tra gli ultimi in Europa. Ma è indubbio che, scrutando gli ultimi dati, stiamo diventando un paese decisamente più colto, nonostante i continui tagli. E’ così? Parrebbe di sì. Informarsi per credere.
Roberto Faenza