L’angolo di Michele Anselmi
Due premi di rilievo alla Mostra di Venezia, tre importanti Golden Globe, nove candidatura agli Oscar nelle categorie principali: sull’onda di un successo critico crescente arriva finalmente nelle sale italiane “Gli spiriti dell’isola”. Da giovedì 2 febbraio, targato Seachlight Pictures, ovvero la Disney. Film curioso, non ben definibile, una specie di Ufo, non a caso porta la firma del drammaturgo e regista irlandese Martin McDonagh, quello di “Bruges” e “Tre manifesti a Ebbing”.
Non è una commedia, anche se viene presentata per tale; non è nemmeno una storia ad alto tasso simbolico, anche se può sembrare a tratti; la guerra civile irlandese c’entra, ma resta sullo sfondo, evocata da spari lontani, oltre il tratto di mare che separa i due mondi; nemmeno Beckett, da molti tirato in ballo, mi pare della partita. In realtà a me sembra un film sull’amicizia, anzi sulla noia che anche l’amicizia più stretta, schietta, coltivata, può generare. Una sorta di “divertissement” al suono di musiche e atmosfere irish. Infatti il titolo originale, non facile da ricordare e pronunciare da noi, recita: “The Banshees of Inisherin”.
Siamo nell’immaginaria Inisherin, remota isola al largo della costa occidentale dell’Irlanda, marzo 1923. Pochi abitanti, niente energia elettrica, una chiesa piena di fedeli alla domenica, un pub al centro della vita locale. Qui si vedono ogni giorno per una pinta di birra e qualche chiacchiera gli amici storici Pádraic e Colm, ovvero Colin Farrell e Brendan Gleeson. Ma di colpo il secondo decide di chiudere col primo. “Avete litigato?” chiedono tutti a Pádraic, lui risponde: “Credo di no, non mi sembra”; però Colm è irremovibile: “Non mi hai fatto nulla, ma non mi vai più a genio, sei troppo noioso”.
Da bravo drammaturgo, McDonagh utilizza lo spunto paradossale per parlare d’altro: di una certa insensatezza isolana, del tedio che fa appassire i rapporti, della guerra civile che arriva appunto da lontano attraverso colpi di fucile e di cannone, di spiriti e “streghe”, del dilemma tra gentilezza e talento, pure dell’emancipazione femminile.
Il film è buffo e cruento allo stesso tempo, scandito dai tentativi dello sbalordito Pádraic di far pace con Colm, il quale, estenuato, arriva a minacciare di tagliarsi un dito della mano sinistra (è un provetto violinista folk) ogni volta che l’ex amico proverà a ancora parlargli. Lo farà davvero?
Vacche, asine, cani, paesaggi struggenti e case gelide, un poliziotto manesco, un prete che dice parolacce, una sorella colta che vuole andare in Irlanda, “lo scemo del paese” in cerca di qualcuno con cui parlare. Bisogna entrare in questo clima bizzarro per apprezzare il film, nel quale, oltre ai due divi in cartellone, si fanno apprezzare Kerry Condon e Barry Keoghan.
Confesso, per chiudere: quando c’è di mezzo Gleeson sono poco attendibile. Mi piace tutto, o quasi, ciò che fa. Lo trovo un attore titanico, duttile e carismatico, e se per anni, specie nei film hollywoodiani, gli hanno fatto recitare personaggi di contorno, da qualche tempo ha saputo imporsi come intenso protagonista: penso a “Un poliziotto da happy hour” (quel titolo italiano grida vendetta), a “Calvario”, per non dire di “Bruges”. Proprio quest’ultimo lo vide accanto a Colin Farrell, sotto la guida del regista McDonagh; il terzetto s’è ricomposto ora per “Gli spiriti dell’isola”. Certo resta un piccolo mistero, per me, aver candidato Farrell nella cinquina per il miglior attore protagonista e Gleeson in quella per il miglior attore non protagonista. Sono deuteragonisti, alla pari, senza l’uno non funzionerebbe l’altro, e quindi il film.
PS. Ho visto il trailer doppiato. Non per fare il cinefilo ma mi ha preso un certo scoramento. Se lo trovate in inglese è molto meglio.
Michele Anselmi