La Mostra di Michele Anselmi | 6
Da antagonista a deuteragonista, infine la promozione a protagonista assoluto. Succede al clown psicopatico che un tempo in Italia veniva chiamato “il Jolly” e ora è per tutti “the Joker”. Anzi “Joker”, senza articolo. Era uno dei titoli più attesi della Mostra e non ha deluso. Bene ha fatto il direttore Alberto Barbera a piazzarlo in concorso, perché il film scritto e diretto da Todd Phillips, sì quello della serie buffa/alcolica “Una notte da leoni”, sfonda i confini del genere “Dc Comics” e pesca in una dimensione autonoma, facendo di quel personaggio, uno dei “cattivi” più noti al mondo per via del ghigno ridanciano e del look coloratissimo, un disadattato tragicamente infelice. Per la serie: “Una risata (compulsiva) vi seppellirà”.
In tanti, nei decenni, si sono misurati con Joker, nelle chiavi più diverse, certo rendendolo sempre più folleggiante e crudele. Cesar Romero, Jack Nicholson, Heath Ledger, Jared Leto… Ma Joaquin Phoenix li supera tutti. Specializzato in ruoli estremi, l’attore ha perso non so quanti chili per farsi “skinny”, più ossuto che magro, in modo da rendere il suo Arthur Fleck un relitto d’uomo ai margini della società, costretto a vivacchiare conciato da clown per strada o negli ospedali. Un tipo “strano”, che mette a disagio, ma in fondo buono, dedito a occuparsi della madre malata con la quale vive in un palazzo tristissimo. Fleck sogna di far il comico, per la precisione lo “stand-up comedian” alla Lenny Bruce, ma i suoi monologhi non fanno ridere, benché lui sia condannato a sghignazzare sonoramente nei momenti più inopportuni per via di un incontrollabile disturbo psichico.
Siamo naturalmente a Gotham City, anche se il futuro Batman, cioè Bruce Wayne, è solo un ragazzino, non ancora orfano. Che antefatto sarebbe, sennò? Diciamo solo, per non rivelare troppo della vicenda complessa, trapunta di colpi di scena, che Fleck si muove in una città riportata agli anni Settanta, dove l’immondizia non raccolta ha fatto proliferare i topi e la miseria crescente rende il clima sociale infuocato. Quando tre giovani riccastri lo pestano senza ragione, il pagliaccio li stende con il revolver donatogli da un “collega”; e a quel punto, mentre la città si interroga sul killer con la faccia da clown, Fleck comincia ad andare via di testa, trasformandosi in Joker. L’invito a comparire nel popolare show televisivo di Murray Franklin, una specie di David Letterman, offrirà il destro per la mutazione completa.
Incuriosisce il procedimento usato dal regista. Il quale immerge i personaggi in una grana fotografica da poliziesco anni Settanta, giallognola e notturna, citando molto Scorsese, da “Taxi Driver” a “Re per una notte”, omaggiando a sorpresa il Chaplin di “Tempi moderni”, recuperando “That’s Life” di Frank Sinatra e “White Room” dei Cream, ma senza dimenticare gli obblighi narrativi del cosiddetto spin-off, in modo che lo spettatore possa ricollegare questo Joker così inedito alla saga di Batman (l’azione si ferma al 1981, mentre al cinema danno “Zorro mezzo e mezzo”).
Alla fine l’iconografia tradizionale viene rispettata, sicché ci si ritrova di fronte a un “arci-cattivo” che balla, sfotte, delira, che insegua una sua sfida personale alla società avida e classista, stretto nel suo completo rosso ruggine con panciotto arancione, i capelli verdastri, il ghigno vermiglio sul viso ricoperto di biacca.
Phoenix è insieme spaventoso e commovente, quindi bravissimo; ma non è da meno Robert De Niro, che fa del suo tronfio “anchorman”, sicuro di potere trasformare tutto in ascolti televisivi, un bersaglio perfetto. Il film sarà nelle sale dal 3 ottobre con Warner Bros.
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Si balla anche in “Ema”, il secondo titolo in gara della giornata, ma non si capisce bene dove il cileno Pablo Larraín, habitué della Mostra, voglia condurre lo spettatore. Si rimpiange la forza espressiva di “Il Club” e “Neruda”, benché non manchino sequenze di intensa suggestione, come quel semaforo in fiamme, nella notte di Valparaiso, che apre il film. C’è una giovane donna magra e sensuale, coi capelli tinti di bianco e pettinati all’indietro, che forse è stata una cattiva madre. Col marito coreografo avevano adottato un bambino, ma la cosa è finita male: Polo è stato dato a un’altra famiglia e adesso Ema, specializzata in una sinuosa danza corale detta “reggaedon”, sembra vivere alla giornata, dando fuoco col napalm agli oggetti più disparati. Una squilibrata. E se invece avesse un piano diabolico per riprendersi quanto le è stato tolto?
Immagini ricercate, sesso insistito, dialoghi sconnessi, situazioni buffe: “Ema” sembra un po’ muoversi tra Kechiche e Almodóvar, anche se Larraín è di sicuro un autore personale, molto venerato dai cinefili. L’esordiente Mariana Di Girolano è la protagonista eponima, inquietante e maliziosa quanto basta; mentre la star Gael García Bernal sembra chiedersi, ogni volta che appare, “ma che sto facendo?”.
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Sarà un caso, ma si balla anche in “Adults in the Room”, il film che il regista 86enne Costa-Gavras ha girato nella sua Grecia, partendo dai diari dell’ex ministro Yanis Varoufakis. La scena è davvero brutta: con i presidenti di tutti i Paesi europei che accerchiano, danzando, l’ex premier Alexis Tsipras prima della foto collettiva di rito, nella quale solo uno non sorride: appunto il greco. Il film, finanziato per 630mila euro dal precedente governo appena uscito sconfitto dalle urne, sposa totalmente il punto di vista di Varoufakis, il ministro yé-yé con giubbetti di pelle e casco da motociclista che godette di un certo plauso anche qui in Italia.
Impersonato da Christos Loulis, il molto mediatico e anglofono economista condusse sfibranti trattative con l’Eurogruppo, nel tentativo di salvare la Grecia dalla bancarotta sociale ricontrattando il gigantesco debito di circa 473 miliardi di euro. Il dilemma? O la Grecia accettava il Memorandum of Understanding (MoU) imposto dall’Europa o sarebbe stata cacciata dall’euro.
Un po’ come nei film di Giuseppe Ferrara appaiono i sosia di Mario Draghi, Wolfgang Schäuble, Jean-Claude Juncker, Chistine Lagarde, Jeroen Dijsselbloem, Angela Merkel: tutti cinici, tecnocrati, cattivi, infantili, al soldo delle banche, insomma un branco di euro-tiranni insensibili alle sofferenze dei greci. Applausi generosi alla proiezione per la stampa. La nostra Valeria Golino fa la moglie di Varoufakis e parla benissimo in greco. Ma molto si rimpiange il Costa-Gavras di film come “Missing” e “Music Box”.
Michele Anselmi