L’angolo di Michele Anselmi
“Non siamo in California, siamo nel Montana: facciamo ciò che vogliamo” sibila lo speculatore avido e senza scrupoli che vuole costruire case dappertutto. “Non succede nulla in questa valle che io non venga a sapere” replica il proprietario terriero che vive ancora come un cowboy benché possegga un elicottero. Su Sky si può vedere “Yellowstone”, la serie tv in nove puntate che ha fatto ascolti record negli Usa (infatti è prevista una seconda stagione, e forse una terza). Siccome il “ranchero” in questione è interpretato da Kevin Costner, classe 1955, non potevo proprio mancare l’appuntamento. Trovo da sempre Costner un ottimo attore e un bravo regista, soprattutto uno dei pochi cineasti che si diverta ancora a girare dei film western. E “Yellowstone”, sia pure in chiave contemporanea, tale è.
Schematizzando un po’ siamo tra “Dallas” e “Vento di passioni”, più il secondo che il primo, infatti siamo nel cuore rurale del Montana, benché la serie sia stata girata nello Utah. L’ha scritta e diretta Taylor Sheridan, che si fece notare con il tosto “I segreti di Wind River”, forse l’ultimo film prodotto da Harvey Weinstein prima della storiaccia che l’ha portato alla recente condanna a 23 anni.
Sheridan costruisce una storiona epica, a forti tinte melodrammatiche, con vicende familiari che si intrecciano, sparatorie e rese dei conti, sfide tra “modernità” e “tradizione”. Al centro l’enorme tenuta di Yellowstone, dove regna incontrastato il patriarca John Dutton, appunto Costner. Uomo risoluto ma onesto, rimasto vedovo presto e padre di quattro figli, tre maschi e una femmina, che un po’ lo amano e un po’ lo odiano. Kayce ha abbandonato la fattoria per vivere in povertà con la moglie e il figlioletto nella riserva indiana di Broken Rock; Jamie è un brillante avvocato in odore di carriera politica; Lee continua a lavorare nel ranch senza riuscire a imporsi; Beth è una bella e spregiudicata manager finanziaria che odia i cavalli.
Naturalmente Dutton governa l’estesa proprietà con la grinta di un moderno Chisum, dando lavoro a un sacco di bovari; ma la vita si sta molto complicando per lui: da un lato l’avido imprenditore edile, di cui sopra, ha messo gli occhi su una grossa porzione di quei terreni; dall’altro il nuovo e aggressivo capo dell’attigua riserva indiana avanza forti rivendicazioni per sanare i torti del passato.
“Contro chi combattiamo? Contro tutti” scandisce Dutton alla fine della prima puntata di un’ora e mezza. Pare di capire che ne succederanno di cotte e di crude, e d’altro canto, al suono dello struggente violino di “Ashokan Farewell”, abbiamo già assistito a un mesto funerale.
Costner, stavolta doppiato da Massimo Lodolo invece che dallo “storico” Michele Gammino, forse per rendere il personaggio più torvo e implacabile, sta benissimo a cavallo, con cappellone, jeans, stivali e giubbotti imbottiti: un vero boss, anche se il destino non gli risparmia sofferenze, attriti, incomprensioni. Proprio come succedeva al carismatico Anthony Hopkins in “Vento di passioni”.
Se piace il western & dintorni, tra panorami mozzafiato, cavalli al galoppo e mandrie da radunare, “Yellowstone” è la serie giusta da vedere in questi tristi tempi di auto-reclusione casalinga; altrimenti meglio passare ad altro.
Michele Anselmi