L’angolo di Michele Anselmi
Non da ora trovo la danese Susanne Bier, classe 1960, una delle migliori registe oggi in circolazione, in senso assoluto. Mi piacciono i suoi film “d’autore”, spesso passati nei festival più autorevoli, come “In un mondo migliore”, “Dopo il matrimonio” o “Love Is All You Need”; mi piacciono altresì i suoi lavori televisivi girati in inglese, come “The Night Manager”, “Bird Box” e adesso “The Undoing – Le verità non dette”, dall’8 gennaio su Sky Atlantic, in sei puntate (produce Hbo).
Bier sa tenersi miracolosamente in equilibrio tra stile personale e sguardo popolare, soprattutto sa aderire ai diversi contesti, sociali e linguistici, lavorando bene sui “generi”, dallo spionaggio al poliziesco con intrusioni nell’horror, ma senza perdere di vista il senso di un racconto preciso, inquietante, serrato, mai corrivo.
Scritta da David E. Kelley, “The Undoing” nasce da un romanzo di Jean Hanff Korelitz pubblicato in Italia da Piemme nel 2016 come “Una famiglia felice”, e naturalmente il titolo va preso per antifrasi. La felicità della famiglia Frazer si spegne quasi subito nel corso degli eventi. Per non rovinare la sorpresa, riassumo solo l’incipit della miniserie.
Siamo a Manhattan, ramo “upper class”, molto “upper”. Jonathan Frazer è uno stimato oncologo pediatrico, di origine inglese, sposato con Grace, una psicoterapeuta bella e invidiata, figlia di un magnate vedovo. Tutti e due guadagnano parecchio, vivono in una casa di lusso col figlio tredicenne Henry che frequenta l’esclusiva Reardon School, dove si paga una retta da 50 mila dollari all’anno.
I Frazer paiono incarnare una certa armonia americana, tra feste noiose, raccolte di soldi, battute mattutine, anche tenerezze sotto le coperte. Ma nel loro giro esclusivo è entrata una giovane donna di origine ispanica, tale Elena Alves, madre di una bambina nata da poco: irrequieta, instabile, di un’avvenenza prorompente, capace di mostrarsi nuda senza imbarazzo alcuno. Quando viene ritrovata uccisa in modo atroce, il viso devastato dalle martellate, forse stuprata, tutto crolla addosso alla famiglia Frazer, anche perché la vittima non era così “estranea” al loro ménage…
Trattasi, avrete capito, di thriller tra poliziesco e psicologico, con incursioni nel “legal drama”, in una classica struttura a puzzle, trapunta di sospetti e indizi, mezze verità e bugie intere, pulsioni nascoste e ipocrisie manifeste, a smontare appunto l’immagine irenica, idilliaca, della famiglia in questione.
Ho visto quattro delle sei puntate, quindi sono a buon punto, in attesa di sapere come andrà a finire. Si vede che Nicole Kidman, pure produttrice esecutiva e forse in cerca di un riscatto d’attrice, s’è fatta molto cucire addosso il personaggio di Grace, la donna apparentemente perfetta (abiti e cappottini di gran classe; capelli, trucco e ritocchini vari; gran fiuto nell’esercitare il lavoro di “strizzacervelli”…) che sprofonda progressivamente in una sorta di incubo giudiziario/affettivo, per giunta tampinata da due detective che non le credono neanche un po’ rispetto alle mosse del marito.
Il quale marito è interpretato da Hugh Grant, ambiguo e stazzonato quanto basta, ma ancora capace di sedurre esibendo il carisma tormentato del “bravo medico” che salva i bambini. Ci sono pure Donald Sutherland e Édgar Ramírez, nei panni del suocero facoltoso e dello sbirro implacabile, anche se la sorpresa, per noi italiani, viene dalla bolognese Matilda De Angelis, che fu lanciata da “Veloce come il vento” e abbiamo appena visto in “L’incredibile storia dell’isola delle Rose”. Il suo insistito nudo frontale non lascia indifferenti, ma ha un senso, perché corrisponde al personaggio di Elena: esibizionista, ossessiva e disturbata, assai consapevole di piacere agli uomini, e forse non solo ad essi. Occhio ai titoli di testa: la canzone evergreen “Dream A Little Dream Of Me” è cantata da Nicole Kidman. Neanche male.
PS. Consiglio di vedere la serie in lingua originale coi sottotitoli, anche per cogliere le sfumature delle diverse cadenze inglesi. Ma i doppiatori italiani Chiara Colizzi e Luca Ward hanno fatto di sicuro un buon lavoro sui due attori protagonisti.
Michele Anselmi