L’angolo di Michele Anselmi
Mi aspettavo qualcosa di più e di meglio da “La donna alla finestra”, il film di Joe Wright costruito addosso a una Amy Adams volutamente dimessa e ingrassata. Il suo è quasi un “assolo” gotico sui temi della presunta follia. Lo si può vedere su Netflix e certo la 20th Century Fox che coproduce non ha badato a spese sul versante del cast: oltre alla diva in cartellone, ormai specializzatasi in personaggi femminili “al limite”, penso a “Sharp Objects” e “Elegia americana”, ci sono Gary Oldman, Jennifer Jason Leigh, Julianne Moore, Anthony Mackie, solo per dirne alcuni.
Il procedimento è classico, da thriller psicologico un po’ all’antica. C’è una donna traumatizzata, una ex psicologa infantile, che vive da mesi murata viva in casa polverosa e oscura in quel di New York, sola col suo gatto bianco Putch, bevendo troppo vino rosso per ingurgitare le pillole prescritte dallo psichiatra.
Anna Fox soffre di agorafobia, rifiuta il mondo là fuori, nutrendosi solo di vecchi film in bianco nero, da “La fuga” a “Vertigine” e “Io ti salverò”; e siccome le piace spiare chi abita nel palazzo dall’altra parte della strada con la sua macchina fotografica ecco apparire nel suo televisore un fotogramma di “La finestra sul cortile”, perché l’omaggio a Hitchcock sia ancora più chiaro.
Alla base della sua “clausura” pre-Covid c’è un trauma subito anni prima, lo scopriremo strada facendo, ma intanto il suo indifeso e innocente voyeurismo rischia di metterla nei guai con la famiglia Russell che s’è appena trasferita da quelle parti. Anna è sicura di aver assistito a un orribile omicidio, pensa di averlo pure fotografato, ma la sua versione sembra andare in pezzi quando arriva la polizia, s’intende diffidente, certa di avere di fronte una pazza visionaria.
Il film, scritto da Tracy Letts, musicato da Danny Elfman e fotografato da Bruno Delbonnel, gioca sui due piani, confondendo molto le acque, i piani e gli indizi, in modo che lo spettatore presto non capisca più bene che cosa stia succedendo; insomma se quelle della sciroccata infelice siano visioni indotte dai farmaci o frammenti di verità. Qualcosa del genere succedeva anche nel vecchio “Copycat – Omicidi in serie” con Sigourney Weaver, e infatti negli Usa qualcuno ha rimproverato l’autore del romanzo alla base del film, Daniel Mallory, di aver scopiazzato qua e là.
Confesso di aver intuito abbastanza presto chi è l’assassino, ma certo “La donna alla finestra”, tra dialoghi un po’ teatrali, inquadrature sghembe, luci espressioniste, scale cigolanti e rumori minacciosi, lavora sul genere, confermando e smentendo in 100 minuti il deragliamento mentale della poveretta.
Per Amy Adams un notevole “tour de force” psicofisico nei panni di questa gattara alcolista, struccata, segregata e impasticcata che sembra uscire da non so quanti film. Il regista inglese Joe Wright, quello di “Orgoglio e pregiudizio” e del recente “L’ora più buia”, ha fatto parecchio di meglio nella sua carriera; ma leggo che su Netflix il film sta furoreggiando, sicché le chiacchiere stanno a zero.
Michele Anselmi