L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor

Poveretto: ormai Ignazio Marino viene vissuto come un impaccio. Con lui succede sempre qualcosa di spiacevole. Prendete ieri mattina, martedì 29 settembre, all’Auditorium: di ritorno dagli Usa e ancora sottobotta per la frecciata del Papa, il sindaco capitolino ha voluto benedire la decima edizione della rinata Festa del cinema, già Festival sotto l’ineffabile duo di centrodestra Polverini-Alemanno, ora recuperata col centrosinistra alla vocazione originaria. Nella ressa per l’arrivo del sindaco pasticcione un fotografo è caduto a terra e s’è fatto male; una mezzoretta dopo, non era neanche terminata la presentazione del cine-menù, Marino ha lasciato la Sala Petrassi in un delirio di spintoni, mentre stava parlando il neo-direttore Antonio Monda. «La Festa del cinema come sogno e come realtà per questa città» scrive il primo cittadino sul catalogo. Magari poteva sforzarsi di evitare la rima. Però bisogna riconoscere che, rispetto al passato recente, gli amministratori sono rimasti in platea, un po’ defilati: sia Marino sia il governatore Zingaretti con i rispettivi assessori alla Cultura.
In programma dal 16 al 24 ottobre, la decima edizione della kermesse fortemente voluta da Veltroni & Bettini cerca dunque di affrancarsi da una certa ingordigia della politica e di azzeccare finalmente un’identità, diciamo cittadina e internazionale, senza la pretesa ridicola di fare concorrenza alla Mostra di Venezia. Nuovo cda, l’ingresso stabile del Mibact nella compagine, la giornalista ed ex direttrice Piera Detassis richiamata come presidente della Fondazione Cinema per Roma, e appunto Monda, che vive a New York ma vola volentieri sopra l’Atlantico avanti e indietro, come nuovo timoniere della Festa. Che costerà circa 4 milioni, più annessi e connessi: 1 milione e 900 mila per l’ambizioso lancio del Mercato (detto Mia), 1 milione e 200 mila per la collegata Festa della fiction, più 2 milioni e 800 mila di spese generali.
Detassis, nel presentare il bel manifesto che raffigura Virna Lisi in “Tenderly”, esordisce così: «Eccoci qua. Anzi, rieccoci qua» e subito scatta l’applauso. Le sue parole d’ordine sono due: “tessitura” e “apertura”, l’una riguarda il rapporto con l’universo-cinema, l’altra il legame con la città. Aggiunge: «Ci muoviamo tra spregiudicata giovinezza e tracce della memoria», e chissà se è frase in codice. Anche Monda, nella vita romanziere per Mondadori, collaboratore di “la Repubblica” e di Raitre, pure dimenticabile regista di “Dicembre”, ha le sue parole in codice, a riassumere il senso del suo debutto, e fanno rima pure quelle: “discontinuità”, “varietà”, “qualità”. Insomma si prova a cambiare stile, sperando che i romani affollino le sale nei nove giorni, i venditori facciano affari, i mass-media seguano e scrivano riscaldando il clima. Niente più concorso, sicché i 37 film in programma, alcuni dei quali presi da altri festival e viceversa, sarebbero tutti “vincitori” solo per essere stati selezionati. Tra i titoli più attesi “The Walk” di Robert Zemeckis, “Freeheld” con la coppia lesbica Julianne Moore & Ellen Page, “legend” di Brian Elgeland, “Truth” con Robert Redford e Cate Blanchett, quest’ultima pure protagonista di “Carol”. Tre i film italiani: “Alaska” di Claudio Cupellini, “Dobbiamo parlare” di Sergio Rubini, “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti. E poi retrospettive, omaggi, “incontri ravvicinati” (Jude Law, Paolo Sorrentino, Wes Anderson-Donna Tartt, Joel Coen-Frances McDormand, Carlo Verdone-Paola Cortellesi…). «Chi non ama il red carpet? Ma i festival sembrano essere diventati sfilate di moda» annuncia il sobrio Monda. Che confessa un solo rammarico: voleva ad ogni costo il nuovo film di Spielberg, “Il ponte delle spie”, ma non gliel’hanno dato.
La cronaca registra una pepata querelle a distanza. Il ricordo dedicato a Pasolini, nel quarantennale della morte, non contempla l’anteprima del nuovo film di David Grieco sul tema, “La macchinazione”, che sembrava intonato alla ricorrenza. Per Monda sarebbe uno dei «no dolorosi» che ha dovuto pronunciare. La produttrice Marina Marzotto, probabilmente d’accordo con Grieco, parla di «sommo stupore» di fronte a quella frase e ribadisce di non aver mostrato il suo film al direttore e ai suoi selezionatori. Chi dirà la verità?

Michele Anselmi