L’angolo di Michele Anselmi
Non saprei dire se meritasse davvero di vincere il Leone d’oro a Venezia 2022, ma so che “Tutta la bellezza e il dolore” è un documentario intenso e squassante, di quelli che consigliano un complice silenzio una volta partiti i titoli di coda. Solo per tre giorni in sala, oggi domenica 12 febbraio, domani e martedì, distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection, il film di Laura Poitras sull’eclettica artista newyorkese Nancy “Nan” Goldin non è solo un ritratto umano e artistico non convenzionale: è soprattutto la storia di una campagna civile, durata quattro anni, condotta contro la potente famiglia Sackler, potenza intoccabile nel campo farmaceutico grazie anche alla generosa filantropia esercitata per decenni a vantaggio di musei prestigiosi e università di gran nome.
La partita tra Goldin e i Sackler è personale, perché nasce da una grave “addiction” da Ossicodone sopraggiunta dopo una cura medica regolarmente prescritta alla fotografa. Nel giro di poco tempo lei passò da 3 a 18 pillole al giorno, per sedare il dolore, e così milioni di americani, se è vero che almeno 100 mila persone, solo negli Usa, sono morte per via di quella dipendenza da oppioidi, fino all’overdose, ampiamente nota alla Purdue, una delle società possedute dalla facoltosa famiglia in questione. Lesta a orchestrare una bancarotta programmata per evitare cause penali e risarcimenti ingenti, spostando anzitempo 10 miliardi di dollari su altre società del gruppo e sborsando altri 6 miliardi di dollari in segno, diciamo, di buona volontà.
Ma Nan Goldin e le azioni eclatanti del gruppo di militanti da lei fondato, il cui acronimo suona “P.A.I.N. (come dolore in inglese), riuscirono in un’impresa comunque straordinaria: sputtanare le attività filantropiche dei Sackler, al punto da costringere musei come il Met, il Guggenheim, la Tate Gallery, la National Portrait Gallery e infiniti altri a cancellare i padiglioni pagati dai Sackler, derubricati a “fonti private” nelle insegne.
Ha spiegato la regista Laura Poitras, già vincitrice di un Oscar: “All’inizio sono stata attratta dalla storia terrificante di una famiglia miliardaria che ha consapevolmente creato un’epidemia e ha successivamente versato denaro ai musei, ottenendo in cambio detrazioni fiscali e la possibilità di dare il proprio nome a qualche galleria. Ma mentre parlavamo, ho capito che questa era solo una parte della storia che volevo raccontare”.
Diviso in sei capitoli, “Tutta la bellezza e il dolore” iscrive questa titanica campagna civile all’interno di una biografia accidentata e controversa, segnata dalla sofferenza, dalla ribellione, anche da un certo “stigma” perbenista sempre rifiutato. Perché Nan Goldin, nata in una famiglia borghese nel 1953, vide morire suicida la sorella Barbara, a causa del suo carattere indocile e disinibito represso dalla madre abusata sessualmente in gioventù, e da lì prese corpo il suo immergersi in un’esistenza bohémienne, fatta di trasgressioni, provocazioni, droghe, scandali, esperienze da barista e prostituta, insomma una sessualità multiforme, esagerata, a suo modo patologica, a un passo dall’Aids, come suggeriva il titolo di una delle sue famose slideshow pubbliche: “The Ballad of Sex Dependancy”. Per dare l’idea: quando un sofisticato gallerista le chiese di portare i suoi scatti in vista di una possibile mostra, era il 1979, lei ne stipò migliaia in una cassa e si fece accompagnare da un tassista retribuendolo “con un pompino” (parole sue).
Girato tra il 2019 e il 2022, alla fine si vedono anche molte mascherine anti-Covid, il documentario è cucito addosso all’artista, che molto sinceramente si mette a nudo, fornendo fotografie anche intime, immagini, filmini, lettere, ricordi, in modo da comporre un ritratto eterodosso, non “simpatico” o agiografico, dentro il quale ciascuno troverà il senso di un percorso unico, nel bene e nel male. Del resto, come recita una frase di Conrad citata nel finale, non dirò come e perché, il senso della vita è altamente inafferrabile, “il massimo che potete augurarvi è una certa conoscenza di voi stessi cui arriverete troppo tardi”. Proprio così, temo.
Michele Anselmi