Una scelta narrativa difficile, se non rischiosa, quella operata dal regista-montatore Dario Baldi, classe 1976, con La leggenda di Bob Wind. Rischiosa perché la scelta del flashback non sempre dà i frutti sperati, e spesso una delle due linee temporali (passato o presente che sia) tende a prevalere sull’altra, a volta dominandola quasi del tutto: nella struttura, nei protagonisti, o nella solidità della sceneggiatura. In effetti, l’ultima prova dell’autore romano convince solo a metà, lasciando la sensazione che nel racconto del presente, forse, si sarebbe potuto fare di più.
Il film segue le indagini di Anna (Lavinia Longhi), giornalista italo-francese che molla patria e carriera per andare in Italia e far luce sul suo passato. Taccuino alla mano, intervista tutti coloro che, per un motivo o per un altro, ebbero contatti con Roberto Cimetta (Corrado Fortuna), uomo di teatro eclettico e geniale, ispiratore di un’intera generazione d’artisti a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Nel tentativo di ricostruire le proprie origini, Anna arriverà a comprendere momenti inediti nonché intimi della vita di Cimetta, regista folle e sperimentale ma anche padre, uomo di famiglia, amante.
Scritto da Baldi insieme ad Elena Casaccia e Alberto Nucci Angeli, La leggenda di Bob Wind può contare sull’ottima colonna sonora di Giordano Corapi e sulla fotografia più che buona affidata a Timoty Aliprandi. Anche il cast non delude, a partire dal protagonista Corrado Fortuna (i più lo ricorderanno per My name is Tanino, Il mattino ha l’oro in bocca o Baària): pur scivolando qua e là nella macchietta, errore in fondo perdonabile nella rappresentazione di un personaggio di per sé eccessivo e sopra le righe, l’attore palermitano riesce a restituire l’entusiasmo e l’indole avventuriera ed infantile che caratterizzarono il vero Cimetta.
La Longhi, di recente apprezzata nel demenziale ma simpatico Italiano medio di Maccio Capatonda, sfoggia un’interpretazione non impeccabile, ma senz’altro dignitosa, affiancata dai discreti Ivan Franek e Paolo Briguglia (nella parte del Tommaso adulto, il figlio di Roberto).
L’anello debole è dunque da ricercarsi nelle atmosfere e nei dialoghi che caratterizzano la storia del presente, nell’assenza di quella drammaticità che avrebbe dovuto segnare la ricerca della protagonista e che, invece, sembra mancare quasi del tutto. Privo del necessario spessore, il copione che accompagna le vicende di Anna ha, in effetti, un che di televisivo, e si discosta notevolmente dal registro usato da Baldi nei lunghissimi flashback. Ottime le sequenze dedicate all’esperienza del teatro delle piazze, raccontate con toni onirico-favolistici che coinvolgono e che riaffiorano nel viaggio intrapreso da Cimetta e Tommaso (bellissima la scena dell’aquila). Anche i costumi, ben curati da Roberta Spegne, contribuiscono alla rievocazione storica di un periodo culturalmente ricco e innovativo.
Prodotta dalla Guasco e distribuita in collaborazione con Mariposa, l’opera di Baldi anela dunque ad una maturità espressiva ed artistica che raggiunge solo in parte. Ciò detto, risulta encomiabile negli obiettivi che si propone e nella scelta del soggetto, che ha reso possibile la riscoperta di un personaggio in parte dimenticato e a molti ignoto. Non sorprende più di tanto, in quest’ottica, il co-finanziamento del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale della Regione Marche. Nelle sale dal 10 novembre.
Ilaria Tabet