La memoria del piccolo schermo | Sceneggiato e originale televisivo
Alcune delle pagine di ViaggiArte forse denotano, talvolta, caratteri nostalgici?
… è possibile … eppure, questi vecchi generi televisivi – anche se di alcuni il ricordo è legato alle repliche trasmesse negli anni successivi, visto che i loro originali albori risalgono alla metà degli anni ’50 e ’60 – rimangono, tutt’oggi, illustri esempi per i soggetti trattati, sia per l’indiscutibile professionalità registica e ancora per le indimenticabili interpretazioni di grandi attori italiani, (come non ricordare un Luigi Vannucchi, un Tino Carraro, una Sarah Ferrati …); nessun altro genere odierno può competere con essi.
La Radio Televisione Italiana iniziò le sue trasmissioni nel 1954 con un unico canale, il “Programma Nazionale”, al quale si aggiunse nel 1961 il “Secondo Programma”.
Le serate televisive degli italiani, erano, in quegli anni, scandite da un preciso palinsesto, organizzato per generi serali: il lunedì la serata era dedicata alla visione dei film, introdotti da una breve presentazione, il martedì alla commedia, il giovedì ai quiz, il venerdì alle rubriche culturali (tra cui la prosa), il sabato al varietà.
Inizialmente i programmi duravano circa quattro ore al giorno, terminando alle ventitré con la chiusura della replica del telegiornale serale; non esiste pubblicità, dobbiamo arrivare al 1957 con l’introduzione del Carosello, la cui caratteristica è la predominanza dello spettacolo sul lancio pubblicitario.
Ogni programma veniva preannunciato da una figura femminile (le cosiddette “Signorine buonasera”) e spesso era preceduto da una sigla iniziale ed una finale, costituendo così un elemento identificativo dello stesso programma.
In questi anni l’indice dell’analfabetismo è ancora alto; l’introduzione di numerosi programmi a sfondo culturale e didattico, quali i programmi per ragazzi o gli sceneggiati televisivi tratti dai grandi romanzi classici o da testi teatrali, contribuisce ad arricchire le conoscenze dell’italiano medio.
A questo periodo, che va dal ’54 al ’62, risalgono le belle regie di Anton Giulio Majano, considerato da molti l’artefice del genere sceneggiato; da “Piccole donne”, del 1955, a “I figli di Medea”, del 1958, fino ai successivi “La cittadella” del 1964, “La freccia nera” del 1968 e ancora, “E le stelle stanno a guardare” del 1971 e i lavori di Sandro Bolchi, già regista di prosa e lirica, che realizza nel 1963 “Il mulino del Po”, “I miserabili” l’anno seguente, quindi “I promessi sposi”, “I fratelli Karamazov”, “I demoni” …
E’ in questo modo che la passione degli italiani per la letteratura, in special modo quella classica, viene notevolmente alimentata, andando anche ad incrementare la stessa vendita dei romanzi.
Il teatro divenne ben presto, per le sue peculiarità e caratteristiche linguistiche, il modello a cui anche lo sceneggiato attingeva per la trasposizione televisiva: la scansione della dimensione spazio-temporale, la recitazione, le scene d’interni, si adattano particolarmente alle tecniche espressive del piccolo schermo.
Lo spettatore italiano veniva così, per la prima volta, trasportato in un universo costituito da eroi e da vicende per lo più drammatiche legate ad essi e tratte dalle opere dei grandi scrittori della letteratura classica: da Dostoevskij a Tolstoj, da Manzoni a Dumas e Hugo …
Gli interpreti degli sceneggiati televisivi o teleromanzi provengono quasi sempre dall’ambito teatrale; gli studi televisivi ricalcano il palcoscenico con allestimenti di quinte, mobili, ecc … e le sceneggiature vengono divise in atti.
Inizialmente le scene girate in interni sono ridotte al minimo, le riprese in diretta vengono effettuate con tre telecamere, escludendo alcuna possibilità di registrazione e montaggio. Detto ciò, è chiaro che gli inconvenienti che potevano presentarsi in diretta fossero molteplici: lo scambio di disposizione tra una scena e l’altra, la necessità di effettuare riprese fisse e lunghe – magari riprendendo un attore fermo – per poter permettere all’altro di cambiarsi di costume …
Alcune apparecchiature sono americane, altre tedesche, ma la progettazione rimane italiana.
Ancora non esistono i videoregistratori e bisognerà attendere gli inizi degli anni sessanta per accogliere l’introduzione della tecnologia Ampex per la registrazione su pellicola, dando maggiori opportunità alle dirette e alle riprese in esterni.
Il primo sceneggiato su pellicola sarà “Mastro don Gesualdo” del 1964 con la regia di Giacomo Vaccari e nello stesso anno il grande successo de “La cittadella” tratto dal romanzo di Cronin con la regia di Anton Giulio Majano.
“… La Cittadella di Majano, il più famoso e replicato teleromanzo italiano, rappresenta invece un clamoroso caso di divismo televisivo.
Alberto Lupo, interprete del dottor Manson, il protagonista del romanzo di Cronin, acquista una inaspettata popolarità: riceve lettere di ammiratori che lo interrogano su problemi di salute; viene addirittura invitato a un congresso medico come ospite d’onore…”
da: “Che cos’è la televisione?” a cura di A. Grasso e M. Scaglioni
Nel 1966, all’interno dello Studio 3 di Milano, vengono girati “I promessi sposi” con la regia di Sandro Bolchi, per la prima volta l’ambientazione della Milano seicentesca viene ricostruita in esterni: si tratta dell’ultima produzione realizzata dalla televisione italiana con mezzi propri.
Negli anni settanta, viene introdotto il videoregistratore che consente di eseguire automaticamente il montaggio delle scene registrate.
E’ in questo modo che lo sceneggiato si allontana dalle vecchie tecniche di ripresa, avvicinandosi maggiormente alle caratteristiche del cinema.
La Rai inizia a collaborare con enti televisivi stranieri, in particolare tedeschi e francesi; nascono nuove produzioni quali “L’Odissea” del 1968 con la regia di Franco Rossi, l’”Eneide” del 1971, il “Mosè” del 1974. La televisione si avvicina sempre più al cinema, adottando anche come richiamo l’uso di attori conosciuti a livello internazionale.
Anche lo sceneggiato subisce un radicale cambiamento trasformando il linguaggio tecnico-narrativo e viene del tutto sostituito dall’originale televisivo, la cui peculiarità sta nella trasposizione di testi scritti appositamente per il piccolo schermo, un esempio di genere giallo in cinque puntate lo offre “Il segno del comando” del 1971, ambientato nei vicoli di Trastevere con la regia di Daniele D’Anza e interpretato da Massimo Girotti, Ugo Pagliai e Carla Gravina.
Non dobbiamo inoltre tralasciare che le colonne sonore degli sceneggiati e degli originali televisivi erano quasi semprecomposte da grandi autori musicali, quali Riz Ortolani, Fiorenzo Carpi …
A questo punto, se avessimo voluto con questa pagina fare una carrellata dei vari generi televisivi che si sono susseguiti nel corso della storia della Rai, saremmo dovuti giungere alle fiction moderne; ViaggiArte preferirebbe fermarsi qui, consapevole sia che il paragone tra le interpretazioni e le regie che abbiamo trattato non regge rispetto a ciò che la televisione oggi propina al pubblico italiano e sia che ormai manca del tutto quell’aspetto educativo e culturale che aveva così ben contraddistinto quei generi televisivi.
Concluderemo citando, ancora una volta, un breve pezzo critico di Aldo Grasso scritto in occasione della fiction “Sant’Agostino” andato in onda in due serate nel gennaio dello scorso anno.
“… Il modello della fiction italiana è un modello devozionale, il modello didascalico: si prende un Santo, un eroe,
una persona eminente, che poi nella storia italiana ce ne sono tantissimi,
si costruisce la sua vita partendo dalla fine con il classico flashback
e si fa un santino,un ritratto devozionale.
Però i ritratti devozionali portano poco lontano: sono un omaggio alla persona,
ma dal punto di vista drammaturgico
sono piuttosto noiosi …"
Onorina Collaceto
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