La memoria fragile | Di Roberto Faenza
Un interessante articolo comparso di recente nel domenicale del Sole 24 Ore, a firma di Maurizio Ferraris, pone l’interrogativo della fragilità delle memorie documentali e più in generale dei contenuti del mondo della comunicazione. Prendiamo l’esempio delle tesi di laurea. Le università tecnologicamente più avanzate raccolgono da tempo i prodotti finali dei loro studenti in un archivio destinato a raccogliere nel tempo milioni di documenti. Come verranno schedati, classificati e soprattutto su che supporto verranno mantenuti? E’ noto che ormai un numero crescente di tesi di laurea sono composte non solo da materiale cartaceo ma anche da video, audio, filmati. Sino a poco tempo fa il supporto più diffuso per lo storage delle tesi di laurea era il CD, ritenuto indistruttibile. Si è invece scoperto che indistruttibile non lo è affatto. Anzi i CD sono soggetti a deteriorarsi forse ancora più delle ormai preistoriche audio e video cassette. Dunque che fare? La domanda presuppone una risposta che nessuno al momento è in grado di dare. Quanto tempo può durare la pellicola cinematografica, quanto i DVD, quanto il BluRay, quanto i file digitali? Diciamo al massimo un centinaio d’anni? Bene, e dopo? Che succederà dopo dei film che amiamo, delle canzoni che vorremmo non andassero perdute, dei documenti scientifici? I libri ci sono stati tramandati da migliaia di anni e dunque almeno loro sembrano imperituri. Ma tutti gli altri supporti moderni, a confronto dei libri, sembrano invece disperdersi in tempi sorprendentemente brevi. Ferraris apre il suo articolo con una serie di quesiti illuminanti: che accadrà della memoria dei sopravissuti della Shoah quando non ne sarà rimasto più nessuno? Quanto resisteranno le foto di Abu Ghraib se dovessero rimanere solo su formato digitale? E ancora: quanto potrà resistere l’enciclopedia oggi più letta al mondo, Wikipedia? Che succederà di lei, se un giorno la società che la gestisce non avesse più i mezzi per sostenerla? Gli interrogativi postulano una serie di problematiche che stanno diventando drammaticamente attuali. Non è solo questione di trovare formati e supporti capaci di resistere all’usura del tempo, ma anche e soprattutto di reperire persone, finanziamenti e know how per rispondere alle esigenze di una società ipertecnologica, iperinformata e iperbisognosa di comunicazione. Pionieri della cultura audiovisiva e del restauro cinematografico come le cineteche (eccellenti sono da noi la Cineteca Nazionale e la Cineteca di Bologna) si dibattono con la precarietà dei finanziamenti, sempre più scarsi rispetto alla domanda. Autori impegnati (vedi il caso di Martin Scorsese) mettono a disposizione le loro risorse e il loro prestigio per salvare i capolavori del cinema del passato, lodevolissimo impegno. Ma che ne sarà del cinema contemporaneo, che ogni anno produce decine di migliaia di titoli, la maggior parte dei quali destinati a scomparire nel giro di pochi decenni? Per non parlare del web, che si troverà presto sommerso da milioni di file di cui nessuno potrà mai conservare per sempre né una traccia né una qualsivoglia memoria. Viviamo dunque nella società più ricca di informazioni che mai sia esistita a memoria d’uomo. Ma è pur sempre una società così sovradimensionata da essere destinata più al buio che la luce. Viene in mente il presagio di Niklas Luhmann: “troppa informazione non illumina più”.