L’angolo di Michele Anselmi
Se n’è andato anche Nico Cirasola, pugliese doc, appena 71 anni: regista, produttore, attore e tante altre cose ancora. S’era ripreso da un’aggressiva malattia, ma un malore l’ha stroncato mentre era salito a Roma (così ho letto). L’avevo visto recitare poco tempo sul grande schermo, in una particina bizzarra, in “Il maledetto” di Giulio Base, liberamente ispirato a “Macbeth” di Shakespeare in una chiave di fosca storia criminale ambientata in Puglia, ramo Sacra corona unita: mi pare che incarnasse un becchino, ma potrei sbagliarmi. Nico è stato un uomo spiritoso e insieme fumantino, sin da quando debuttò come regista nel 1989 con “Odore di pioggia”, titolo mica male. Non ha girato molti film, a occhio sei, più alcuni cortometraggi, e certo non era facile per lui trovare finanziatori: le sue commedie era surreali, eccentriche, non sempre riuscite, molto “local”, spesso fuori da alcuni canoni di presunto successo. Si lamentava che i critici non lo capissero, ma in fondo non credo che fosse così. Era un vero “indipendente”.
Ricordo che nel 1994, alla Mostra di Venezia, un sul film sfortunato, “Da do da”, fu accolto nella strana rassegna parallela intitolata “Salon des Refusés”, che prendeva liberamente spunto da un’iniziativa ottocentesca di Napoleone III, in modo da offrire una seconda chance ad alcuni film italiani respinti dalla selezione ufficiale. Un po’ lì per lì se la prese, ma poi accettò l’opzione e fu contento di mostrare il suo film. Gli volevo bene, per l’energia che metteva nel suo fare artistico, anche quando non ero d’accordo con lui sui temi legati alla politica cinematografica e su certe iniziative degli autori, fossero Anac o “100autori”. Le mie condoglianze più sincere alla sua famiglia.
Michele Anselmi
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■ di Laura Marchetti dalla sua pagina Facebook
Quella scena di “Focaccia blues” in cui lei, pur essendo affascinata dal macho americano anche se rozzo, lo lascia perché ha tolto il pomodoro dalla focaccia, dice tutto l’amore che Nico Cirasola aveva per la nostra terra, tutta la generosità della sua “restanza”.
Se fosse andato a vivere a Roma avrebbe certo avuto più successo. Ne ha avuto, ma ne avrebbe avuto di più frequentando i salotti e le camarille politiche romane. Ma è stato qui, a sentire l’odore della pioggia, a fare film legati alla terra, ad aprire cinema e arene locali, a promuovere Festival, a vendersi le proprietà per fare il “massaro” in quel luogo incantato di Ostuni ricco di incontri, risate e tanta, tanta cultura. A Gravina, dove è nato, ha fatto perfino il capolista indipendente per Rifondazione comunista, sapendo di non essere eletto ma di poter comunque parlare, educare, dialogare.
Ci siamo visti sempre con Nico, per circa trent’anni, e ci siamo voluti bene, tanto. Amavo in lui lo sguardo surreale sul mondo, la tenerezza, una comicità classica, antica, che prefigurava non la distruzione dell’altro ma il rovesciamento del lato malvagio di questo mondo. Amavo le sue macchine improbabili che quando ci salivi ti sembrava di essere in un set cinematografico, la sua indifferenza per il denaro. Amavo e amo Lucia, che lo amava profondamente, che prima si arrabbiava e poi rideva, e che è stata la sua forza e il suo sostegno. A lei il mio abbraccio e il mio pianto.
Nico, amico mio, il dolore è insopportabile
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