L’angolo di Michele Anselmi per Cinemonitor
A me non pare un brutto titolo “L’altra metà della storia”, anche se gli estimatori del romanzo da cui è tratto il film, cioè “Il senso di una fine”, Einaudi editore, dello scrittore inglese Julian Barnes, hanno un po’ storto il naso. Del resto una frase ricorrente, anzi il cuore della faccenda, recita: “La nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato”. Non so se sia proprio così, però suona bene.
Diretto da Ritesh Batra, il regista di “Lunchbox” e del recente “Le nostre anime di notte” per Netflix, “L’altra metà della storia” è un film abbastanza classico, molto british, ben recitato, ricolmo di flashback, apparentemente pensato per spettatori maturi o anziani. Ma forse non è così. Strada facendo il cineasta di origini indiane destruttura lo stile compassato, fa affiorare un gioco feroce, evoca piccole allucinazioni e scarti della memoria; in modo, appunto, che si chiarisca l’altra metà della storia, quella taciuta o dimenticata. Gran film? Forse no. Però pesca nella vita di ciascuno di noi, uomini e donne, e non lascia indifferenti, perché ci siamo tutti raccontati una storia per assolverci o non fare i conti col passato.
Jim Broadbent, benissimo doppiato da Carlo Valli, è Tony Webster. Si direbbe un uomo senza (particolari) qualità: negli studi e nel lavoro, nei sentimenti, anche nel sesso. Ormai in pensione e separato dalla moglie grintosa, il settantenne gestisce per passione un negozietto di macchine fotografiche vintage. Sua figlia lesbica sta per partorire, lui è amabile e ben voluto, apparentemente in pace con se stesso. Ma la lettera con cui un avvocato gli annuncia il lascito di cinquecento sterline e di un diario proveniente dal passato scuote il fondo limaccioso della sua esistenza.
Siccome la storia è complessa, nonché fitta di colpi di scena e depistaggi emotivi, meglio non dire troppo: sappiate solo che da giovane Tony conobbe a una festa una bellissima ragazza fotografa, Veronica, che però lo mollò per un compagno di college colto e piuttosto “maledetto”, Adrian. La ricerca di quel diario, avrete capito, non sarà un processo indolore, specie allorché Tony si mette in testa di ricontattare Veronica, tutt’altro che disposta a incontrarlo…
Benché intessuto di suggestioni letterarie, da Dylan Thomas a Philip Larkin e Albert Camus, “L’altra metà della storia” ha il merito di distaccarsi un po’ dal romanzo attraverso una messa in scena quieta ma non banale, dai risvolti amarognoli, che cede un po’, sul piano della tensione drammaturgica, nei ricorrenti flashback a uso dello spettatore. E tuttavia il film acchiappa, anche perché il segreto custodito dall’anaffettivo Tony è di quelli non facili da perdonare (e perdonarsi).
Broadbent è l’attore che tutti conosciamo: elegante, soffuso, ironico, capace di fare del suo Tony un personaggio insieme amabile e detestabile. Harriet Walter e Charlotte Rampling incarnano l’ex moglie paziente e la gelida Veronica oggi: due donne tra le quali l’uomo dovrà imparare a muoversi con cura per non provocare altri danni. Nelle sale da giovedì 12 ottobre, targato Bim.
PS. In pochi l’avranno riconosciuto. Ma il tormentato Adrian è interpretato dall’americano Joe Alwyn, che si fece notare nel notevole “Billy Lynn: un giorno da eroe” di Ang Lee.
Michele Anselmi