Fiamme che divampano leggere sulle note di una melodia malinconica, mentre il fuoco brucia un foglio di carta o forse qualcosa di ignoto. Dalla scatola dei ricordi Netflix estrae un film italiano datato 2004: “Primo amore”, disponibile sulla piattaforma streaming dal 6 novembre. Seppur il titolo possa far sperare in un film in cui l’amore romantico la fa da padrone, la pellicola di Matteo Garrone svela tutto ciò che ne è invece l’estremizzazione: “the love addiction” detta anche dipendenza emotiva, incarnata dalla figura di Vittorio, orfano e orafo, e da quella di Sonia, una donna solare ma timida. La personalità di Vittorio è definita subito dalla sua impertinenza e cupezza, i suoi occhi color ghiaccio incutono un timore reverenziale; il suo temperamento è perlopiù silenzioso, ma profondamente razionale e calcolatore, infatti, subito dopo il primo incontro, appunta il peso di Sonia e i suoi improbabili difetti come se lei fosse uno dei lingotti d’oro da lavorare. La sua visione della donna è profondamente alterata dalla necessità di proiettare su di lei le aspettative inattese verso sé stesso.
“Lei sta modellando una persona secondo il suo desiderio” è con questa frase che lo psichiatra sottolinea un disturbo palese, ma mai definito. Il protagonista avvicina Sonia, una donna per lui fisicamente imperfetta, ma con un carattere perfettamente debole da poter essere plasmato come un vaso di creta, a immagine e somiglianza del suo artigiano: Vittorio sceglie per lei cibo, abiti, atteggiamenti, il livello di disgusto o amore che dovrebbe provare per sé stessa, Vittorio infondo vive per lei la sua stessa vita. Il perché due personalità così diverse siano arrivate a congiungersi non è del tutto chiaro, lo spettatore si trova catapultato in una relazione già avviata ma che, date le premesse iniziali, è completamente inaspettata. I salti cronologici lasciano in sospeso molte domande le cui risposte non vengono suggerite neanche dai dialoghi in cui prevalgono silenzio e battute relativamente scarne, prive di contenuti profondi o chiarificatori. Al contrario, determinate inquadrature palesano i ruoli di dominanza e compiacimento dei personaggi tanto che, a volte, sembra che gli occhi di Vittorio prendano il posto della macchina da presa. La strategia mentale che l’uomo mette in atto è tutta nei suoi monologhi: nella maggior parte dei casi lui si esprime al plurale non dimenticando quasi mai il “noi” e, anche ponendolo in sottointeso, parla di scelte condivise, di un medesimo consenso che accompagna la coppia nella sua storia. In realtà la potenza dell’Io che compare nel monologo iniziale, e successivamente ripreso nel finale, fa da cornice all’immagine atroce del corpo di una donna pallida, come il bordo della vasca dentro la quale è china, completamente abbandonato al controllo di una mano più grande che lo lava, che lo percorre con un tocco freddo e pesante, che lascia su di esso il segno violento del possesso “della testa prima del corpo”.
Cristina Quattrociocchi