Fosse stato realizzato qualche decennio fa, sicuramente, sarebbe stato recensito come un film di fantascienza. Dopo Khadak, lavoro con cui hanno vinto  il “Leone del futuro” alla Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia nel 2006, e Altiplano, premiato nel 2009 con il “Golden Kinnaree Award” al Bangkok International Film Festival, Peter Brosens e Jessica Woodworth realizzano La quinta stagione, il loro terzo lungometraggio, interamente girato a Weillen, piccolo villaggio situato nel cuore delle Ardenne abitato da una comunità rurale. Scenograficamente ispirato al cinema del grande Theo Angelopoulos, il film prende atto dei cambiamenti climatici del nostro tempo per poi elaborare un discorso sul rapporto interrotto tra gli uomini e la natura, sui sentimenti fragili dello stare insieme e sul senso di appartenenza e di chiusura nei confronti dello straniero.

Tutto ha inizio quando gli antichi rituali dei contadini non rispondono più ai ritmi cadenzati delle stagioni e annunciano la minaccia di un inverno che non ha fine e di una primavera che non vuole arrivare. Un’apocalisse moderna in cui la natura si inalbera, dove scompaiono le stagioni e tutto inizia a sfaldarsi, a incupirsi, ingrigirsi nell’angoscia e nel terrore di uomini che non credono più nella divinità della terra, abbandonandosi all’odio e scivolando nelle barbarie. In effetti, la pellicola ruota intorno alle conseguenze di uno spirito naturale che si ribella e ad un’umanità sempre più fragile, ingrata e vigliacca, che sfugge da se stessa e fa crollare ciò che il creato ha tenuto unito nei secoli: l’amore per la terra e il rispetto reciproco della convivenza. Forse solo il coraggio di due giovani adolescenti, che cercano di dare un senso alla propria vita, riuscirà a porre fine al disastro e a far perdonare ogni male, mentre tutto intorno sta crollando.

In uscita domani nelle nostre sale, La quinta stagione è un piccolo gioiello capace di farci addentrare, come fosse un viaggio nel Purgatorio, nelle vie infernali dell’essenza umana, attraverso quadri visivi intensi e suggestivi, in cui le azioni dei personaggi hanno la meglio sui dialoghi, davvero ridotti al minimo. Un’opera in cui gli attori sono protagonisti teatrali che nascondono dietro le maschere la vigliaccheria e la vergogna del sacrificio espiatorio.

Patrizia Miglietta

Leggi anche la recensione di Tommaso Tronconi