L’angolo di Michele Anselmi
Finalmente l’ho visto. Quando uscì nelle sale italiane, il 9 settembre 2021, ero alla Mostra di Venezia; poi, di ritorno a Roma, provai a recuperarlo, ma in pochi giorni era praticamente scomparso dai cinema o pigiato in salette così piccole da risultare subito piene a causa delle regole Covid (infatti incassò in tutto 211 mila euro, una miseria). “La ragazza di Stillwater” adesso è su SkyCinema1, e chissà che il film di Tom McCarthy, già regista del pregevole e oscarizzato “Il caso Spotlight” sui preti pedofili americani, non viva una seconda occasione: di pubblico e di critica. Io metto la critica, intanto.
Certo sono un po’ di parte: il protagonista della storia, l’operaio “all american” Bill Baker incarnato da un muscoloso Matt Damon, è di quei personaggi che molto mi piacciono. È cresciuto in Oklahoma, ha lavorato sulle piattaforme petrolifere, sua moglie si uccise, ha avuto problemi con alcol, sostanze varie e forze dell’ordine, somiglia a un perfetto “redneck” repubblicano: pizzetto lungo, occhiali da cecchino, lercio cappellino da camionista sempre in testa, camicie a scacchi e jeans. Però l’uomo è in zona redenzione: non beve, prega insieme agli altri commensali prima di cenare, è disposto a fare qualsiasi lavoro manuale a Stillwater per tirare su qualche dollaro. E gliene servono parecchi: perché sua figlia Allison è in prigione da cinque anni a Marsiglia, dall’altra parte del mondo, e deve scontarne altri quattro: per l’omicidio di un’amica-amante, Liza, con la quale era andata a vivere nella metropoli francese.
Scritto a otto mani da Thomas Bidegain, Noé Debré, Marcus Hinchey e Tom McCarthy, “La ragazza di Stillwater” è un film in bilico tra due culture, due lingue, due scenari urbani, due idee della vita. Quando arriva a Marsiglia per incontrare la figlia reclusa ancora incapace di accettare quel pesante verdetto, è l’attrice Abigail Breslin, l’americano vorrebbe ripartire il prima possibile per trovare un lavoro decente negli Usa; ma la ragazza gli fa capire che forse il caso può essere riaperto, se solo si trovasse un giovanotto arabo molto informato dei fatti, sicché Bill sceglie di fermarsi qualche giorno in più, deciso a scoprire la verità. Ma siccome non è il Liam Neeson di “Io vi troverò”, uno che spara e uccide facile, lo straniero spaesato dovrà adattarsi alla vita marsigliese, trovando un inatteso aiuto in una mamma single con aspirazioni d’attrice, Virginie, ovvero l’attrice Camille Cottin della serie “Chiami il mio agente!”, e nella di lei figlioletta Maya, ovvero la piccola Lilou Siauvaud.
Il film è lungo e divagante, 140 minuti sono probabilmente troppi, e non tutto torna nello snocciolarsi degli eventi, con contorno di rapimento e indagini poliziesche, che porta a un finale malinconico, asprigno, di nuovo in Oklahoma, laddove nulla sembra essere cambiato, ma non per l’operaio nel frattempo toccato dall’esperienza in Europa. “Life is cruel” sentiamo filosofeggiare in un dialogo sotto il portico di casa prima dei titoli di coda; in effetti la vita è crudele.
McCarthy si diverte a giocare con gli stereotipi, facendo di Bill una specie di “alieno” in terra di Francia: gli chiedono se abbia votato per Trump e lui dice di no, ma solo per via dei suoi guai con la giustizia; gli chiedono se tenga armi in casa e lui non ha problemi a dire che ne ha due: un fucile e una pistola; a ogni donna che incontra risponde sempre”Yes, ma’am”, come s’usa rispettosamente nelle zone rurali. Solo una canzone d’amore, la vecchia “Help Me Make It Through Tonight”, scritta da Kris Kristofferson e cantata da Sammi Smith, sembra gettare un ponte di tenerezza tra l’americano frustrato e la francese progressista, ma quanto durerà l’idillio?
Visto il tema, consiglio di vedere il film nella versione originale sottotitolata, perché è il mix di inglese e francese a dare benzina alla storia, a definire i rispettivi mondi di riferimento dei personaggi: usi, costumi, convinzioni politiche. Damon è perfetto nel disegnare questo “workin’ man” roccioso, a stelle e strisce, deciso a salvare la figlia ad ogni costo, anche infilandosi nei peggiori guai; Cottin si dimostra attrice duttile, eclettica, anche quando non parla nella sua lingua.
Michele Anselmi