L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per “Cinemonitor”

«L’assenza di prove non costituisce prova della loro assenza». Lo sostiene l’ottantunenne Donald Rumsfeld, per due volte segretario generale della Difesa, con Gerald Ford e George W. Bush, nel documentario “The Unknown Known” passato in concorso alla Mostra di Venezia 2013. Era la prima volta che un film non di finzione gareggiava a Venezia, e la cosa ha portato fortuna, visto che proprio un altro documentario, quel “Sacro GRA” di Gianfranco Rosi, alla fine s’è aggiudicato il Leone d’oro.
Repubblicano doc, uomo scaltro e ambiguo, ossessionato dalle parole, al punto da imporre un nuovo gergo al Pentagono, Rumsfeld è stato uno dei grandi “architetti” della guerra in Iraq che portò alla deposizione del tirannico Saddam Hussein e insieme a quel disastro strategico-militare pagato caro dagli Stati Uniti. L’attacco fu sferrato sulla base di prove false esibite come incontrovertibili, infatti gli arsenali nucleari iracheni non esistevano. Rumsfeld se la cava con quella frase a effetto sopra citata, tenendo fede al personaggio del politico brillante e fantasioso, capace di tenere testa ai giornalisti di stanza alla Casa Bianca, in una sorta di continua recita a soggetto.
Del resto anche il titolo del documentario, “The Unknown Known”, è un gioco di parole teorizzato dall’uomo: allude ai cosiddetti ignoti fatti noti di cui l’ex potente segretario della Difesa parla nel corso dell’intervista. Undici volte, per un totale di 33 ore, si sono visti Morris e Rumsfeld; una massa enorme di materiale, ridotta a 105 minuti e montata con abilità, nella prospettiva di comporre un ritratto attendibile dell’uomo. Il politico repubblicano è famoso in patria per i suoi pro-memoria, detti “fiocchi di neve”, oggi non più protetti dal segreto di Stato. Il film parte da lì, dal contenuto di quei dossier, per definire la personalità contraddittoria dell’uomo e del politico. Si parla di Guantanamo, di torture, di 11 Settembre, di diritti costituzionali, di dimissioni date e non accettate, fino a quel 2006, quando Rumsfeld fu definitivamente sollevato dal ruolo.
Il tono è oggettivo, senza la faziosità tipica di Michael Moore, anche se Morris, nel montaggio malizioso delle immagini di repertorio contrapposte alle dichiarazioni attuali di Rumsfeld, non fa mai sconti all’intervistato. «Sono incalzante nelle domande, ma non lo attacco mai direttamente. Preferisco che sia lui a contraddire se stesso. La sua strana lingua, fitta di locuzioni a effetto, mirava a manipolare gli altri. Alla fine, però, è lui a restare vittima delle sue stesse parole, vi si perde dentro a forza di recitarle» spiega il regista. La buona notizia è che “The Unknown Known” esce ora nelle sale, sia pure con notevole ritardo, distribuito da Biografilm e Wonder Pictures. Da vedere, prima che gli esercenti lo smontino.

Michele Anselmi