Laura e Giorgio vivono una relazione quasi idilliaca: lei, insegnante di musica in conservatorio, ha seguito le orme del padre direttore d’orchestra; lui è un affermato cuoco d’avanguardia che manda avanti con successo un ristorante nel centro storico del paese in cui vivono. Ci vorrebbe l’arrivo di un figlio per rendere definitivamente perfetto il loro rapporto ma questo bambino tarda ad arrivare nonostante l’impegno dei due. Sembrerebbe l’incipit di una delle tante commedie sentimentali così in voga negli ultimi tempi, se non fosse che, tramite particolari quasi impercettibili, un senso di inquietudine inizia a turbare questo luminoso ritratto familiare. Una tragica casualità investe ed interrompe il procedere della quotidianità nelle vite di Laura e Giorgio. Addentratasi nei tortuosi vicoli di una parte periferica ed abbandonata del paese, Laura subisce una violenza da parte di uno sconosciuto e subito dopo scopre di essere rimasta incinta. La Scelta, il nuovo film diretto da Michele Placido, è l’adattamento cinematografico di un dramma poco noto di Luigi Pirandello. Già all’epoca in cui lo scrittore siciliano scrisse L’innesto, il vero titolo della pièce, il testo sollevò molte critiche da parte dei benpensanti. Ciò che scandalizzava e scandalizza ancora l’opinione pubblica è la scelta che Laura farà, una scelta forse non condivisibile ma sicuramente coraggiosa, consapevole ed inedita.

Il film oltre che sul testo, estremamente denso e drammatico, punta molto sullo stile e gioca in modo suggestivo col rapporto immagine, suono e musica. Michele Placido, infatti, ha inserito un elemento che non è presente nell’originale pirandelliano, ovvero la professione di Laura, maestra di musica per un coro di bambini che studiano al conservatorio. Il rapporto di Laura con le voci infantili e con l’elemento infantile in generale (le due nipotine) viene particolarmente enfatizzato dal regista e ritorna come un contrappunto costante durante tutto l’arco del film. Questo materializza il fortissimo desiderio di maternità di Laura, lo stesso desiderio che, forse, inconsciamente, l’ha condotta in quei vicoli bui. La scena di violenza viene omessa rimanendo uno spazio vuoto all’interno del film come all’interno della vita della stessa Laura. Il suo sguardo fisso che appare nella sequenza successiva in un primo momento sembra la diretta conseguenza del trauma ma giunti alla fine della pellicola ci si rende conto che negli occhi di Laura si nasconde un’ombra di stupore e di domanda: che sia rimasta finalmente incinta? Questo è l’aspetto che sia i personaggi sia gli spettatori faticano a comprendere: Laura decide di vedere la sua disgrazia come un’opportunità per realizzare il suo sogno di maternità. C’è qualcosa di prodigioso in quest’avvenimento almeno per Laura e per lo stesso Michele Placido che sottolinea il manifestarsi del dramma/miracolo con il suono ossessivo ed assordante delle campane di una chiesa.

Il riferimento ad una immacolata concezione laica non è puramente casuale. Un altro evidente aspetto stilistico è l’insistenza della macchina da presa sui volti e sui corpi degli attori. Questa è un’operazione a rischio, soprattutto se si affida il compito di un certo tipo di espressività ad un attore come Raoul Bova che solo di recente ha iniziato a fare un lavoro più strutturato sulla propria recitazione. Anche Ambra Angiolini, istintivamente più predisposta all’interpretazione, a volte risulta penalizzata dall’insistenza sul primo piano. Non è un compito semplice rappresentare tramite il volto un dramma interiore, ma ci si rende conto che, con una storia simile una scelta stilistica del genere si dimostra necessaria. Michele Placido ritaglia per se un cammeo interpretando il ruolo di un umanissimo commissario di polizia.

Maria Rita Maltese