Dal titolo strettamente chandleriano, “La semplice arte del delitto” (Profondo rosso editore 2020) è il primo noir pubblicato a firma di Luigi Cozzi, che abbiamo incontrato per discutere di un romanzo, ma anche di un genere, che getta una luce differente sulla produzione letteraria di uno scrittore e regista da sempre associato al fantasique.
A quando risale la scrittura di questo noir in piena regola, nella migliore tradizione di Raymond Chandler? Lo hai pensato per la carta stampata o anche per una sua eventuale trasposizione per il cinema? Era già stato pubblicato o questa per Profondo rosso è la sua prima pubblicazione?
Luigi Cozzi: “La semplice arte del delitto” è stato scritto a metà del 1972 come sceneggiatura per un film giallo thrilling che dovevo girare a Milano per gli stessi produttori con i quali l’anno dopo girai “L’assassino è costretto a uccidere ancora” (nella foto, ndr.), i quali avevano contattato Dario Argento mentre insieme ci trovavamo in quella città per effettuare le ricerche storiche alla base di “Le cinque giornate”. Loro volevano fare un film thrilling con Dario che rifiutò l’offerta e propose invece che quel film lo facessero fare a me. Così nacque il progetto di “La semplice arte del delitto”, in origine ambientato a Milano e che doveva avere William Berger nel ruolo dell’ex-investigatore e Raf Vallone in quello del suo amico. Però non si raggiunse l’accordo con la distribuzione e allora quel produttore milanese mi chiese di provare invece a trarre un film dal romanzo “Al mare con la ragazza” di Giorgio Scerbanenco, che poi diventò effettivamente un mio film, per l’appunto “L’assassino è costretto a uccidere ancora”. Quindi il copione di “La semplice arte del diletto” rimase inedito in un mio cassetto fino a quando, all’inizio degli anni Ottanta, decisi di farne la novelization per riuscire almeno a pubblicarlo in quella forma. Ne spostai l’ambientazione da Milano all’America e lo firmai con lo pseudonomo di Lewis coates, pubblicandolo con il titolo di “Quando piange un investigatore” in una collana di libri gialli dell’editoriale Corno e dopo un paio di anni venne anche ristampato in un volume rilegato. Quindi l’ho ristampato quest’anno con la nostra casa editrice, ridandogli il titolo originale e firmandolo con il mio vero nome. Alla sceneggiatura aveva collaborato con me il compianto Enzo Ungari.
Sono molti i riferimenti al cinema, penso al personaggio di Bela Blaskovic, che rimanda direttamente a Bela Lugosi, oppure al brano in cui il protagonista, Nathan Stevens, viene assalito da un gruppo di pazienti ninfomani che mi ha ricordato un’analoga scena in “Il corridoio della paura”…
L.C.: Certo, Bela Blaskovic era volutamente Bela Lugosi, così come la sequenza delle ninfomani è un omaggio preciso al Fuller di “Il corridoio della paura”. I copioni che scrivo sono sempre infarciti di citazioni visive, mi piace farlo.
“La semplice arte del delitto” segna una traiettoria diversa rispetto alle opere del fantastique che hai raccolto e ripubblicato negli ultimi anni in “Il cuore misterioso” e “Una manciata di eternità”. Hai qualche altro romanzo del genere che aspetta una sua ripubblicazione?
L.C.: C’è un’altra mia sceneggiatura scritta poco dopo quella di “La semplice arte del delitto” che ha avuto una sorte simile. Doveva diventare un film che poi non si è realizzato e, siccome mi piaceva molto anch’essa, negli anni Ottanta l’ho a sua volta trasformata in un romanzo. Mentre il precedente era chandleriano, questo secondo mio testo è alla Hammett, come rivela il suo stesso titolo, “L’istinto della caccia”, ed è stato pubblicato negli anni Ottanta anch’esso con lo pseudonimo Lewis Coates presso l’editoriale Corno e poco ristampato a sua volta in edizione rilegata. Anche questo mio secondo romanzo thrilling, contenente altre citazioni cinematografiche, uscirà nel 2021 presso la Profondo rosso.
Cosa ti affascinava e continua ad affascinarti del noir propriamente detto? Mi pare che questa particolare declinazione del romanzo nero attinga ad una fonte diversa da quella che può averti ispirato un giallo-thrilling come “L’assassino è costretto ad uccidere ancora”…
L.C.: “L’assassino è costretto a uccidere ancora” è quasi un film thrilling molto violento, quasi un film dell’orrore sia psicologico che visivo, soprattutto per quello che riguarda l’atmosfera, essendo intenzionalmente una espansione a lungometraggio del telefilm “Il vicino di casa” che girai per “La porta sul buio”, estesa fino ai suoi limiti estremi e senza più auto-censure, mentre “La semplice arte del delitto” è volutamente un palese omaggio a Raymond Chandler e alle sue opere come “Il grande sonno”, “Il lungo addio” e “Little Sister”.