Dopo “Edgar Allan Poe – La camera pentagonale. Vol. 1” di Franco Pezzini, Odoya dedica un altro volume al genio di Boston: “La vera storia di Edgar Allan Poe” di Teresa Campi è una biografia dalla prosa romanzesca che non rinuncia alla completezza pur restando letteraria e d’estremo piacere nella lettura. Abbiamo intervistato l’autrice per approfondire un testo che non dovrebbe mancare nella biblioteca degli amanti non solo del grande scrittore, ma della letteratura in genere.
Come nasce il progetto di “La vera storia di Edgar Allan Poe”? Si tratta di uno studio richiestole da Odoya, sempre più specializzata nei territori di cui Poe fu uno dei massimi alfieri, o nasce dalla volontà personale di mettere nero su bianco la figura del grande scrittore?
Teresa Campi: Maltrattato dai critici durate la sua epoca, semisconosciuto in patria, Poe lasciò i suoi scritti ad un suo collega, Griswold, invidioso e conservatore che scrisse la prima sua biografia mettendolo in cattiva luce e addirittura falsificando alcune lettere dello scrittore. Ne venne fuori un personaggio torbido, alcolista e depravato. Per tanti anni Poe ebbe una cattiva fama, e anche Baudelaire, pur comprendendone la genialità, travisò alcuni fatti importanti biografici proprio perché non poteva avere documenti alla mano. La verità biografica venne fuori per completezza di dati solo nel 1940 quando il professore Arthur Hosbon Quinn mise mano alla Fondazione Valentine dove erano state conservate non solo le sue lettere ma anche la risposta a queste, insieme ad una ricca documentazione che ristabilì la verità storica, anche se con qualche lacuna. In Italia la figura di Poe subì ulteriori travisamenti dopo la pubblicazione dell’opera di Marie Bonaparte, la psicoanalista allieva di Freud, che sancì l’etichetta di alcolista, psicotico, necrofilo e colpito da sostanziale impotenza sessuale. L’importanza letteraria dello scrittore era stata completamente negletta. In italia, nonostante saggi critici di una certa rilevanza, non é stata mai pubblicata una biografia che avesse un fondamento scientifico serio. Le mie prime curiosità rimasero senza risposta. Quello che mi interessava sapere era come mai un genio letterario di tale portata avesse potuto scrivere quello che Poe ha scritto se, effettivamente era alcolista e psicotico come tutto lasciava supporre. Mi venne il desiderio, già nei primi anni di liceo di scoprire cosa ci fosse realmente sotto questa patina grigia del ‘depravato’ Poe, in sostanza chi fosse l’uomo Poe e la relazione che ci potesse essere fra lo scrittore in carne ed ossa e le circostanze che avevano favorito la sua fantasia sulfurea, terrifica, per dare finalmente una versione italiana della sua biografia rimanendo fedele ai documenti. L’idea dunque è mia e scaturisce proprio dal desiderio di saperne di più per restituire il giusto, senza pregiudizi.
Affrontando un monumento assoluto della letteratura di ogni tempo, la difficoltà di pulire il campo dalle varie vulgate deve essere stata una delle prime preoccupazioni. Possiamo parlare di questo?
T.C.: La psicosi, l’alcolismo impedirebbe a qualsiasi essere umano di esprimersi, di presentarsi così lucidamente nel panorama americano dell’epoca, intuendo tutta la mancanza di cultura, i giochi di potere all’interno delle redazioni, la mancanza di parametri critici in cui muoversi per stabilire cosa avrebbe dovuto essere la letteratura, una letteratura ‘nazionale’ che non scimmiottasse quello che veniva prodotto in Inghilterra e nel resto dell’Europa. All’epoca di Poe, gli editori si appostavano nei porti per comperare da chi veniva dal vecchio continente, i libri che i passeggeri avevano portato con sé e dato che non esisteva il diritto d’autore, li ristampavano in America senza nessun problema. Edgar Alan Poe, piegato al mestiere di giornalista per vivere, divenne un critico feroce del mondo editoriale dell’epoca, della società ‘mercantile’ americana, dettando i parametri di quello che doveva essere la ‘finzione’ letteraria. Il mondo reale non doveva avere nulla a che vedere con l’immaginazione, non doveva né educare, né dettare parametri di moralismo né essere un’altra forma di controllo sociale ‘religioso’. Solo esagerando, distorcendo, amplificando i fatti della realtà si poteva arrivare a quel ‘verosimile’ così fondamentale nella narrazione letteraria, pescando nell’inedito, nel mistero della vita e della morte. Fu il primo scrittore a sperimentare tutto questo perché era innamorato dei classici da cui tutto apprese. Lo fece con coraggio e quasi con eroismo perché non piaceva a nessuno. Nessuno osò pubblicare per intero la sua raccolta di poesia, così come la sua raccolta completa di racconti. Faceva ‘paura’ e furono in molti a credere che i suoi scritti fossero il risultato di una mente ‘malata’.
Uno dei meriti maggiori di questa biografia è la sua leggibilità, a volte sempre di avere a che fare con un romanzo. Come ha lavorato in questa direzione?
T.C.: Quando si lavora col materiale umano, quando si studia da vicino un autore, quando si tenta una biografia occorre, a mio parere, calarsi nel punto di vista di chi teniamo sotto osservazione. Mi sono chiesta: cosa sentiva? quali erano stati gli avvenimenti che avevano preceduto i racconti? Ad esempio quando scrisse Berenice, Poe stava letteralmente morendo di fame, quando scrisse La Maschera della Morte Rossa, fece della morte un personaggio che veniva da fuori, intrufolatosi di nascosto nel palazzo del Re. Esattamente come avviene la morte di qualcuno, così inaspettatamente, senza alcun rimedio possibile, come era avvenuto nella camera che io ho descritto come ‘rossa’ in presenza di una madre morente per tubercolosi. Sicuramente il colore del sangue ha dettato la Maschera della Morte rossa. Nel racconto Eleonora, invece Poe anticipa la morte di Virginia, la cugina di cui si innamorò e che morì alla stessa età della madre, a 24 anni. Che i tragici avvenimenti della vita abbiano influito sulla sua opera non c’è alcun dubbio e questo avviene per qualsiasi scrittore. Il fatto che lui inconsapevolmente o consapevolmente tirasse fuori tutta la gamma delle sue sensazioni e le trasformasse in scrittura limpida, verosimigliante, era anche sicuramente un tentativo di ‘reimpastare’ la realtà per uscire fuori dal cerchio dell’impossibilità’ del fato ‘cattivo’ di cui aveva subito le fruste, ma questo conta poco. Nell’analizzare ciò che di più profondo alberga in un cuore martoriato di scrittore non tanto è interessante la materia prima (il vissuto) ma il modo in cui un autore sappia ‘giocare, manipolare, travisare, fingere, depistare, usare come specchio l’inconscio, deformare attraverso il linguaggio. Il modo in cui Edgar Allan Poe l’ha fatto è talmente ricco e variegato da incidersi nell’Olimpo dei grandi della letteratura. Era di certo un visionario e un genio perché anticipò il metodo critico della lettura di un testo nella Filosofia della composizione un saggio senza il quale le avanguardie storiche non avrebbero avuto un punto saldo di riferimento.
Delle altre biografie, quali ha eletto a modello? O meglio, quali ha scelto come punti di riferimento per il suo lavoro di ricostruzione cronologica?
T.C.: Ho scelto quella di Arthur Hobson Quinn del 1940 perché la più scientifica e legata all’ampia documentazione biobibliografica. Si tratta di quasi 800 pagine ricche di carteggi, biografie scritte in precedenza da persone che avevano conosciuto direttamente Edgar Allan Poe, le risposte alle varie lettere che Poe aveva scritto, i diari del padre John Allan che commentava ogni acquisto fatto per il figlio e ogni sua decisione a riguardo per le spese sostenute per la sua istruzione, indirizzate alle sorelle in Inghilterrra, come se fosse preoccupato della sua reputazione post mortem. Nella biografia la verità è tutto, se ci sono delle interpretazioni queste vanno fatte alla luce della documentazione e pur tuttavia ancora deve esistere un margine di dubbio. Anche quella più recente di Kenneth Silverman, del 1991, va bene, anche se non aggiunge nulla alla prima. L’altra interessante cui ho fatto riferimento è firmata da un francese, George Walker, che insiste sul fatto che la morte di Poe sia stata procurata da altri, seppure involontariamente: persone che lo volevano derubare e comunque dirigerlo verso i seggi per votare più volte lo stesso nome, dopo avergli offerto da bene a più riprese. Quando venne ritrovato non indossava i suoi abiti, segno che qualcuno lo aveva portato a comportarsi con induzione forzata.
Quale pensa sia la novità più importante di questa biografia? E che punto di vista dischiude sul grande scrittore?
T.C.: Mi sono semplicemente collocata a suo fianco e visto la realtà dal suo punto di vista. Edgar Allan Poe c’est moi! Non mi risulta sia stato mai fatto. In Italia l’ha rovinato lo studio psicoanalitico di Marie Bonaparte: ne è venuto fuori un mostro necrofilo e perverso e in più impotente. Io ho puntato sul lato umano. Ho cercato di tratteggiare il suo volto come se avessi dovuto fare un ricalco. Anche qui credo che la parte scientifica dei ‘fatti’ deve essere accompagnata da una interpretazione ‘empatica’ dell’autore. Non so se ci sono riuscita, forse no, ma in qualcosa forse posso avere colto e questo mi basta. I lettori poi faranno la loro parte.
Per concludere, possiamo parlare della lettera inedita che compare nel volume?
T.C.: La lettera inedita è dell’agosto del 1849, a pochi mesi dalla morte dello scrittore americano. Si tratta dei due primi fogli di una lettera edita, ovvero che si conosceva già, ma per una strana ragione i primi due fogli erano andati perduti. Fu venduta da un militare americano in servizio ad Anzio dopo la liberazione ad un professore italiano. Gli eredi la vendettero nel 2015 all’attuale Finarte per la somma di e. 136 mila ad una collezionista americana. La lettera è indirizzata alla zia Maria Clemm che Edgar chiamava con l’appellativo di Muddy e che per lui era come una madre, quella madre che lui aveva perduto all’età di tre anni. E’ scritta con calligrafia incerta, sofferente, in cui Edgar confessa di avere ottenuto la mano di Elmira Royster, vedova Shelton e dunque tutti i loro problemi finanziari erano finiti. In realtà Edgar in quel momento era indigente e cercava di ‘sistemarsi’ con una donna che aveva conosciuto quando aveva 15 anni, poco prima del college. La relazione si interruppe bruscamente perché il padre di Elmira intercettò le lettere e d’accordo col padre adottivo di Boe gliele sequestrarono e indussero la ragazza a sposarsi con un avvocato bene stante di gran lunga più anziano di lei. Poe la incontrò di nuovo 25 anni dopo e le chiese di sposarlo. La donna pare acconsentisse, anche se alla morte di Edgar, disse che non c’era nulla di stabilito fra loro. Nella lettera si evidenziano i ‘calcoli disperati’ dello scrittore per cercare di risolvere la sua miseria endemica e il senso di colpa per non poter fornire alla zia madre un apporto economico adeguato. In precedenza aveva avuto degli incubi in cui immaginava che la povera donna fosse morta per indigenza.