L’angolo di Michele Anselmi
Il senso di “La vita in un attimo”, che esce per San Valentino con “Cinema”, è tutto in questo concetto di sapore non solo letterario: “L’unico narratore affidabile è la vita stessa. Ma è anche il più inaffidabile”. Il regista americano Dan Fogelman, classe 1976, viene dalla fortunata serie televisiva “This Is Us” (Nbc), e si vede: di nuovo arpeggia sui temi del destino, delle coincidenze, delle casualità, in una chiave da “sei gradi di separazione”, affinché ognuno dei quattro capitoli peschi in quello precedente, in un percorso di affinità, disgrazie, rivelazioni, agnizioni. Il tutto sotto il segno di un famoso disco di Bob Dylan, “Time Out of Mind”, che risale al 1997 e fa da leit-motiv tra musicale ed emotivo. Funziona? Così così. Fogelman è un “filmofago” al quale piace citare, se possibile mischiando i riferimenti e complicando le cose, in modo che lo spettatore risulti ogni volta un po’ spiazzato dal montaggio degli eventi. Tanto per far capire: in un flashback i due protagonisti si corteggiano mascherati da John Travolta e Uma Thurman in “Pulp Fiction”; in un’altra scena la psicoanalista confessa di non conoscere Natalie Portman al paziente che esita a crederle; per non dire di Samuel L. Jackson, l’attore feticcio di Tarantino, che comprare un attimo nei panni di sé stesso. Siccome accadono tante cose, anche parecchio tragiche, sarà meglio attenersi all’essenziale. L’aspirante sceneggiatore Will e l’aspirante scrittrice Olivia si amano di un amore totale, tenero, entusiasmante, al punto da sposarsi e mettere in cantiere una figlia, ma le cose tra loro non andranno come previsto, a causa di una traumatica separazione. Lui, sull’orlo di una crisi di nervi, quindi depresso, logorroico e col barbone incolto, si rivolge a una “strizzacervelli”, e tuttavia la cura non sembra destinata a un buon esito. Intanto, capitolo dopo capitolo, facciamo la conoscenza con la figlia ribelle di Will e Olivia, chiamata Dylan per ovvie ragioni, cresciuta dal premuroso nonno Irwin, s’intende vedovo; nonché, grazie a un repentino passaggio da Manhattan all’Andalusia, con un facoltoso, solitario, suadente e barbuto proprietario terriero, il signor Saccione, che ha preso sotto la sua ala protettrice l’orgoglioso braccio destro Javier, uno di poche parole, a sua volta innamorato di una bella cameriera, Isabel, che gli darà un figlio: Rodrigo. Vicende che sembrano scollegate le une dalle altre: invece no, il destino unificante è in agguato. A me “La vita in un attimo” sembra un film artificioso, leziosetto, alquanto cervellotico, che gioca a rimpiattino con la percezione dello spettatore e si diverte ad esaltare lo stato mentale dei personaggi, in modo da confondere piani reali e temporali. Non è una novità al cinema, e tuttavia Fogelman dissemina la sua storia corale di disgrazie in modo che emerga, alla fine, un senso come di pace, di riconciliazione, di intesa “transatlantica”. Il problema del film sta in una sorta di sovreccitazione romantica e parolaia, da dialoghi “intelligenti”, che ogni tanto indulge al cliché, specie nella descrizione dei personaggi newyorkesi, sempre sopra le righe, gasati, queruli; meglio la derivazione spagnola, più statica e però più interessante nelle dinamiche psicologiche. Il cast è di prima grandezza, pure ben orchestrato. Oscar Isaac e Olivia Wilde sono Will e Abby, Olivia Cooke la figlia Dylan, Mandy Patinkin il nonno Irwin, Annette Bening l’analista, Antonio Banderas il signor Saccione, Sergio Peris-Mencheta fa Javier, Laia Costa la moglie Isabel e Alex Monner il loro figlio Rodrigo. Frase sacrosanta che echeggia verso l’epilogo: “A volte i giorni più importanti della nostra vita cominciano e noi non ce ne accorgiamo nemmeno”. PS. Bene ha fatto il distributore Valerio De Paolis a mantenere in spagnolo, con sottotitoli, la consistente parte ambientata in Andalusia. Doppiare anche quella non avrebbe avuto senso.
Michele Anselmi