In libreria nella collana Le Tormente di Tsunami, “Atom Heart Mother. Il cuore nuovo dei Pink Floyd” di Giovanni Rossi ricostruisce il clamoroso punto di svolta nella carriera di una delle band più importanti della storia del rock, analizzando minuziosamente il disco che inaugura di fatto una nuova, straordinaria, via per Waters e compagni. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Forse l’unica cosa su cui sono d’accordo Roger Waters e David Gilmour è nel giudicare il capolavoro “Atom Heart Mother”, che è l’oggetto del bel libro che pubblichi con Tsunami, una “merda psichedelica”. Cosa pensi delle più o meno recenti esternazioni dei Pink Floyd su quello che noi ascoltatori abbiamo sempre considerato una vetta della loro produzione?
Giovanni Rossi: Credo che i Pink Floyd non rappresentino l’eccezione a come molti grandi artisti giudicano le proprie opere, contraddicendo spesso i gusti del pubblico e della critica. A onor del vero, sono abbastanza sicuro che la convinzione di Waters, Gilmour e gli altri, risieda anche nel paragonare Atom Heart Mother agli enormi capolavori che sarebbero arrivati dopo, The Dark side of the Moon e Wish you were here in testa. Atom Heart Mother è stato un album di necessario passaggio, un importantissimo viatico per la maturità, non dimentichiamo che è stato il primo numero 1 nella storia della band, nonché forse uno dei migliori esperimenti riusciti in quel periodo di commistione tra rock e classica, ma certamente non possedeva ancora quella maturità che sarebbe poi deflagrata nelle produzioni successive del gruppo. Queste credo siano le ragioni dell’affettuoso disprezzo che i Pink Floyd hanno sempre manifestato nei confronti di questo disco.
Quanto il ruolo decisivo di Ron Geesin nel mettere insieme le varie anime della suite che dà il titolo al disco può aver contribuito ai giudizi dei Pink Floyd che non si sentono padri del pezzo?
G.R.: Questo è un’altro elemento che può aver giocato a favore del disprezzo di cui parlavamo al punto precedente. La suite di Atom Heart Mother è innegabilmente e indubbiamente figlia soprattutto di Ron Geesin. Il compositore inglese ha interamente scritto da solo tutte le partiture orchestrali, lavorando sui riff e sugli assolo che i Pink Floyd gli avevano consegnato in una forma piuttosto scarna. Con la suite di Atom Heart Mother ci troviamo di fronte ad uno dei rarissimi episodi in cui un brano dei Pink Floyd è accreditato ad un autore esterno al gruppo, perché è indiscutibile quanto l’apporto di Geesin sia stata determinante nella riuscita finale del pezzo, al punto che la band non ha potuto fare a meno di riconoscere i crediti sul pezzo. I Pink Floyd non avevano alcuna esperienza con orchestre, ed è stato grazie a lui che la loro idea di dare una veste classica al brano ha potuto prendere forma. Per cui, per tornare alla domanda, penso che questa paternità condivisa possa rappresentare un movente nei confronti dell’acredine del gruppo riguardo al brano. Ma questa è solo una mia supposizione, nessuno di loro lo ammetterà mai.
“Atom Heart Mother” è il disco che segna il totale affrancamento della band dalla pesante ombra di Syd Barrett, benché in mezzo ci siano già stati “More”, l’altrettanto sorprendente “Ummagumma” e lo stesso “A Saucerful of Secrets” fosse già un disco senza Barrett. Possiamo parlare di “AHM” come del disco di una simbolica “uccisione del padre”?
G.R.: I Pink Floyd hanno faticato tremendamente nel trovare una propria strada dopo Syd. Non era facile rimpiazzare un genio assoluto come Barrett, se ne erano resi subito accorti tutti quanti quando tentarono in vari modi di colmare il suo vuoto con tentativi più o meno riusciti. Fortunatamente, Syd aveva lasciato un po’ di materiale, così in A Saucerful of Secrets la sua mancanza si notò meno, ma subito dopo, il gruppo comprese che sarebbe stato necessario per loro trovare una nuova strada, la loro strada. Atom Heart Mother fu il vero primo grande momento strutturato e consapevole di rottura con il passato, un album in cui i Pink Floyd si gettarono definitivamente alle spalle l’etichetta psichedelica per tentare qualcosa di nuovo che non avesse più niente a che fare con il tentativo di replicare chi non era imitabile in alcun modo, Syd.
Da un punto di vista promozionale Storm Thorgerson della Hipgnosis mette a segno forse il suo colpo di genio più lampante, aprendo inoltre la strada ad una serie di dischi senza indicazione che anticipano anche il IV dei Led Zeppelin. Possiamo parlarne?
G.R.: Poche persone come Storm Thorgerson furono in grado di comprendere appieno la musica e la poetica dei Pink Floyd, e solo un gruppo coraggioso come i Pink Floyd, avrebbe potuto dare carta bianca ad un artista visionario come Storm Thorgerson. Fu il matrimonio perfetto, il connubio ideale tra musica e visioni che avrebbe poi conosciuto il suo culmine nel iconico prisma di The Dark side of the Moon. Gli avevano detto che volevano una copertina che avesse poco a che fare con i Pink Floyd, e Thorgerson li prese in parola, letteralmente. Non poteva esserci nulla di più strano di una mucca al pascolo, quella l’illuminazione che colse il fotografo mentre vagava nella campagna inglese. Una mucca che non c’entrava niente col disco, ma che proprio come quell’album, era un assoluto punto di rottura, una dissoluzione totale dell’estetica precedente, l’esaltazione dell’ordinario e della quotidianità in un modo straordinario, come la colazione psichedelica di Alan che chiude il disco. Chi avrebbe mai messo una mucca sulla copertina di un disco? Chi mai avrebbe messo una mucca sulla copertina senza neppure il nome del gruppo o il titolo dell’album? I Pink Floyd. Agli emissari della EMI parve subito una follia, glielo dissero, voi ci volete rovinare. Ma i Pink Floyd andarono avanti per la loro strada, e quella copertina divenne una delle copertine più famose della storia del rock. Spalancò indubbiamente una strada, perché fece comprendere in un modo nuovo quanto potessero essere evocative le immagini nella musica, e soprattutto quanto potessero divenire superflue le didascalie.
Il tuo libro ha un taglio caldo che stabilisce un contatto diretto con il lettore benché sia molto documentato, come hai scelto questo equilibrio e come hai lavorato con Tsunami?
G.R.: Ho sempre amato in modo viscerale questo disco, ma purtroppo mi sono sempre scontrato con la povertà di informazioni che ci sono su quel periodo, colpa in primis dei Pink Floyd che non ne parlano volentieri! Così ho cercato di mettere insieme tutto lo scibile possibile sulla lavorazione di Atom Heart Mother, ma continuavano a permanere dei buchi nella narrazione. Ho così scelto di colmare io stesso quelle mancanze, cercando di immaginare nel modo più fedele possibile, come potessero essersi svolti i fatti in quei mesi di lavorazione. Purtroppo non potremo mai sapere con precisione se ciò che ho scritto sia più o meno verosimile, non è un periodo di cui i Pink Floyd parlano volentieri, le loro glorie e le loro liti sono in altri momenti della storia, ma questo non mi ha fatto desistere, e credo che alla fine Atom Heart Mother – Il Cuore Nuovo dei Pink Floyd, riesca a unire bene verità storica e racconto. Con Tsunami la collaborazione procede ormai da più di dieci anni, sono amici che hanno una vera passione per la musica e che come nessun altro in Italia riescono a riversare questa passione in un contenuto editoriale che ha pochi eguali, come cura dell’oggetto libro, come raffinatezza e precisione di tutto ciò che lo compone, e infine come voglia di lanciare titoli coraggiosi e sostenere autori nuovi. E poi hanno quella dose di incoscienza necessaria per poter pubblicare un libro senza titolo, autore ed editore in copertina. Esattamente come fecero i Pink Floyd!