L’angolo di Michele Anselmi

Bene ha fatto Vision Distribution a spedire direttamente su Sky, da oggi sabato 1° gennaio, “Lasciarsi un giorno a Roma” di e con Edoardo Leo. L’avessi visto al cinema, pure pagando il biglietto, mi sarei prima incavolato e poi chiesto che senso abbia girare ancora commedie così, nel gergo degli esperti dette “dramedy”. Non è questione di logica televisiva, sapete che non ho preclusioni di sorta: so che esistono regole ferree, diciamo estetiche e di montaggio, imposte dalle piattaforme “on demand”, al fine di acchiappare lo spettatore nei primi 8 minuti (dopo si perde). Ma insomma…
L’artificio drammaturgico che va per la maggiore di solito è il seguente: si parte con una scena a effetto, toccante o rischiosa, subito mozzando la situazione, un istante dopo appare un cartello, con indicazione temporale, che fa partire il lungo flashback destinato a riallacciarsi al punto di avvio. Qui la didascalia dice “Due mesi prima” e il posto-simbolo è Ponte Sisto sotto la pioggia.
Il film, diviso in sei capitoletti, è costruito sui travagli di due coppie, s’intende di diversa età ma ugualmente consumate dalla routine. Tommaso e Zoe, cioè lo stesso Leo e la spagnola Marta Nieto, stanno insieme da dieci anni e non hanno figli; Umberto e Elena, cioè Stefano Fresi e Claudia Gerini, stanno insieme da venti e hanno una figlia. Contano molto, naturalmente, i lavori che fanno i quattro personaggi. Tommaso è uno scrittore indocile, reduce da insuccesso, che sta per lanciare il nuovo romanzo e intanto arrotonda curando una rubrica di posta del cuore con lo pseudonimo di Márquez, sì come Gabriel García; Zoe è la bellissima, sensuale e algida manager di una società che inventa nuovi videogiochi; Umberto è un vicepreside di liceo, fissato con Italo Calvino, ormai devastato dal pesante ménage familiare; Elena è la sindaca di Roma, sempre alle prese con riunioni, incombenze e problemi, quindi incapace di ascoltare marito e figlia.
Il film, lungo 112 minuti, segue le schermaglie delle due coppie, che peraltro si conoscono, escogitando per Tommaso e Zoe un’ideuzza non proprio originale, un po’ alla “C’è post@ per te” con un pizzico di “Perfetti sconosciuti”: lei, ormai disamorata di Tommaso, scrive a Márquez per chiedergli un consiglio sul da farsi; lui, senza rivelare le propria identità, asseconda i messaggi di Zoe per capire e scongiurare la separazione.
A un certo punto c’è uno scambio di battute emblematico, forse un omaggio a Sergio Leone, che recita: “Cosa abbiamo fatto in tutti questi anni?”. “Siamo andati a cena fuori”. Vabbè. “Lasciarsi un giorno a Roma” s’iscrive nel frequentato filone sulle coppie in crisi (c’è ancora in sala “Supereroi” di Paolo Genovese) con quel mix tipico: bozzetti buffi o dialettali, sequenze sotto la doccia, rimpatriate al ristorante, scenate casalinghe e scene teatrali da film americano. Il tutto innaffiato da una fragorosa colonna sonora a base di canzoni, da Francesco De Gregori a Niccolò Fabi.
Io l’ho visto subito dopo pranzo, in questo primo giorno dell’anno, nella speranza di trovarvi qualcosa, non dico di universale, ma almeno di verosimile, sia pure nella partitura scritta a otto mani (il regista più Marco Bonini, Damiano Brué e Lisa Riccardi). Non l’ho trovato. Registro l’obiezione, avanzata dalla collega Paola Casella, in merito alla fisionomia professionale delle due donne, squisitamente “in carriera”, quindi un po’ stronze e autoritarie; ma non mi sembra risiedere qui il problema del film, che certo procede per stereotipi. Magari funzionerà su Sky, specie ora che nessuno va a vedere i titoli italiani al cinema (produce la Iif di Lucisano). Su una cosa però Casella ha ragione, avevo notato anch’io: l’iberica Marta Nieto sembra fisicamente un mix tra Kate Winslet e Rosamund Pike, solo più giovane e attenta alla linea.

Michele Anselmi