L’angolo di Michele Anselmi
Le “invisibili” io le vedo tutti i giorni; una, per dire, sotto i portici umbertini di piazza Vittorio, a Roma. O almeno la vedevo fino a poco tempo fa: anziana, malridotta, con i suoi cartoni, le sue buste, le sue coperte, i suoi capelli bianchi, la sua tosse perenne. Spero che sia finita in qualche centro d’accoglienza, perché così, nonostante il sostegno di qualche anima buona, non poteva andare avanti.
Adesso arriva un film francese, appunto “Le invisibili” che racconta in forma di commedia sociale, a tratti anche divertente, questo mondo di donne naufraghe, senza fissa dimora, insomma “homeless”, spesso dimenticate dalle rispettive famiglie o rimaste sole.
L’ha scritto e diretto il 36enne Louis-Julien Petit, partendo da un libro-reportage di Claire Lajeunie, poi diventato anche un documentario con lo stesso titolo: “Femmes Invisibles – Survivre à la rue”. Non è facile sopravvivere alla strada, specie d’inverno, quando fuori gela e gli strati di abiti sovrapposti non bastano mai.
Il film, che in patria ha incassato circa 10 milioni di euro diventando un caso anche commerciale, è di quelli che qui da noi nessuno si sognerebbe mai di girare (né produttori né registi), quindi bisogna guardare con a simpatia a Teodora che lo distribuisce da giovedì 18 aprile, prima di Pasqua.
Il dato di partenza è questo: le donne rappresentano in Francia almeno il 40 per cento delle persone senza fissa dimora. Visibili a tutti, solo a volerle vedere, ma “invisibili” nel senso della considerazione sociale, anche perché molte di esse spesso non cercano aiuto. Non capita nel film. Dove il regista mette insieme, con armoniosa intelligenza frutto di un lungo lavoro sul campo, donne davvero prese dalla strada e attrici professioniste. Il mix è così riuscito che spesso non riesci a distinguere le une dalle altre.
Prendete Chantal, il cui vero nome è Adolpha van Meerhaeghe, che uccise il marito perché la picchiava e oggi, ex carcerata, a settant’anni aggiusta ogni tipo di aggeggio elettrico perché detesta lo spreco e dice sempre la verità sul proprio passato. Lei è una delle tante “invisibili” accolte dal centro diurno gestito da quattro assistenti sociali decise a non mollare. Ma le autorità hanno deciso di chiudere l’esperimento, così al quartetto non resta che violare le regole, rischiando di grosso, accogliendo anche di notte le senzatetto nella speranza di trovare loro, dopo adeguata formazione, un lavoro possibile, un riscatto dignitoso.
“Le invisibili” è la storia di questa bizzarra eppure coesa comunità femminile, a suo modo clandestina, nella quale si intrecciano, quasi alla pari ma anche con effetti buffi, i guai personali delle assistenti e le crescenti speranze delle derelitte dai nomi inventati: Edith (Piaf), Françoise (Hardy), “Brigitte (Macron), Simone (Weill), Brigitte (Bardot), Lady D…
Naturalmente la forza del film sta nell’equilibrio tra dramma e commedia, tra “verità” iscritta sui volti e i corpi delle vagabonde, ciascuna delle quali custodisce una storia professionale persasi per strada (nel gruppo c’è anche una “dominatrice” sessuale), e la bravura delle quattro attrici che incarnano le assistenti sociali: Audrey Lamy, Corinne Masiero, Noémie Lvovsky e Déborah Lukumuena.
Piacerà anche in Italia? Non saprei dirlo, mi auguro di sì, perché il film è tutt’altro che piagnone o deprimente; e anzi si conclude con una “passerella” sui materassi che rappresenta insieme una sconfitta delle istituzioni e una vittoria delle persone.
Michele Anselmi