In Le nozze chimiche di Aleister Crowley – Itinerari letterari con la Grande Bestia (Odoya, 2020), Franco Pezzini indaga da par suo la fascinazione dell’occultista più celebre del Novecento lungo le più disparate direttrici tra cinema, musica, poesia, opere teatrali, romanzi. Ne abbiamo parlato con l’autore nella ormai consueta e dottissima – merito suo – chiacchierata a tutto tondo.
Già dal sottotitolo Itinerari letterari con la Grande Bestia, dal tuo Le nozze chimiche di Aleister Crowley emerge la ratio di un lavoro che si prefissa di attraversare e percorrere i territori artistici del Novecento alla luce di una personalità probabilmente unica. Quali sono state le scoperte che ti hanno sorpreso di più durante la preparazione e la stesura del tuo saggio?
Franco Pezzini: Su Crowley esistono intere biblioteche, ma a me interessava soprattutto il rapporto con la letteratura – in riferimento non solo e non tanto al suo ruolo di autore, narratore, saggista, quanto alla narrazione della sua figura, al suo farsi personaggio, di volta in volta vilain paradigmatico o eroe controculturale. A ricondurre da un lato al suo mito (costruito in parte attraverso un altro tipo di narrazione, quella dei tabloid, che influisce sulle sue stesse comparsate in romanzi) e dall’altro al più ampio panorama delle ricadute dell’esoterismo sulla letteratura occidentale moderna. In effetti nei miei studi sono partito dal Crowley della Golden Dawn, ordine ermetico vittoriano di maghi ma anche spesso letterati (Yeats, Machen, Blackwood eccetera, per non parlare di altri autori spesso citati abusivamente come membri, per esempio Stoker). D’altra parte per Crowley un certo approccio alle arti – qualunque arte, anche la scrittura – ha una dimensione magica…
Diciamo che mi ha affascinato particolarmente la trasfusione e rimodulazione di motivi – vere e proprie varianti di un mito – che spiccano in tre romanzi fortemente concatenati a dar conto di nozze chimiche tra una bella e la Bestia in vista di risultato magici, cioè Il mago di Maugham, Moonchild di Crowley e The devil rides out di Wheatley: motivi che di lì si diffonderanno in tutta una narrativa più o meno derivata. Ho affrontato questi romanzi, letti e goduti in anni diversi della mia vita (per esempio The devil rides out – Il battesimo del diavolo nella leggendaria edizione Nord, Milano 1971, nella collana “Arcano” curata da Riccardo Valla e Renato Prinzhofer – mi aveva molto colpito, ai tempi della mia adolescenza), nei corsi alla mia Libera Università dell’Immaginario: chi conosceva le commedie acide di Maugham non sempre sapeva della sua unica scampagnata fantastica.
Quel terzetto di romanzi vede un tessuto fitto di ingredienti (a volte mutuati dalle stesse vicende di vita del mago) trasfigurarsi e mutare, cambiare di segno, in un vorticoso trasfigurare simbolico. Anche se il Crowley personaggio non si esaurisce ovviamente lì: basti pensare ai ritratti offerti con passo ben diverso da Hemingway, Sciascia e Consolo. In ogni caso è stato sorprendente constatare anche il numero di comparsate del Nostro, in testi ora famosi e proposti magari anche in Italia, ma in altri casi dimenticatissimi…
Da Il mago di Maugham fino alle graphic novel di Alan Moore, la figura di Crowley è alla base di innumerevoli figure letterarie. Quali sono i tratti che hanno in comune questi personaggi ispirati a?
F.P.: Sempre pensando a figure un po’ sopra le righe, potremmo collocare questi personaggi ai poli opposti di un’unica nebulosa ideale: da un lato il mago sulfureo manipolatore e divoratore sessuale (sorta di archetipo per eccellenza del mago nero, cosa che in effetti Crowley non fu), dall’altro l’immenso guru portatore di una peculiare dottrina libertaria nel segno del paradosso e dello sberleffo. Figure che però si ibridano nelle singole narrazioni: di qui il falso guru manipolatore, la figura dell’eccesso tra grottesco e tragedia, il precipitato-nemesi delle ipocrisie di un’epoca. E neppure tutti maghi, pensiamo solo al Le Chiffre di Fleming. È come se la voracità bulimica di esperienze di Crowley l’avesse condannato anche come personaggio a una continua immersione in storie estreme. Parlare di mito, nel suo caso, non è improprio: sia perché figura antieroica di contraddizione rispetto ai valori condivisi del mondo occidentale, sia perché motore di infinite narrazioni che di quel mondo tradiscono pregiudizi e nervi scoperti. Si pensi al tema della donna da salvare, la bella tra le grinfie della Bestia – che però già Maugham mostra sua vittima anche proprio per le ambiguità di un contesto ambientale colloso. Il cattivo Haddo sosia di Crowley è un mostro, ma i “buoni” non brillano per limpidezza…
In ogni caso m’interessava molto il contesto anche per un’occorrenza di calendario: risale grosso modo a mezzo secolo fa (cinquant’anni, considerando la data d’uscita della famosa enciclopedia a dispense da edicola Man, Myth & Magic, 1970) quel grande Revival magico che, incubato un po’ sotto traccia nel corso degli anni Sessanta, aveva iniziato a produrre testimonianze eclatanti alla fine del decennio, come appunto il film The Devil Rides Out del 1968, diretto da Terence Fisher e sceneggiato da Richard Matheson per la Hammer, che riprende il romanzo di Wheatley affidando a Charles Gray il ruolo del simil-Crowley Mocata. Ricordo bene quell’epoca, il fiorire su ogni rotocalco di qualche storia esoterica/paranormale, il dilagare di edizioni popolari sull’occulto in chiave narrativa o saggistica… per un ragazzino curioso era una pacchia. Su tutto questo il peso di Crowley, morto da decenni, è stato rilevante, anche se a grandi numeri veniva citato come l’arcisatanista e non il mago pagano che di fatti fu.
In maniera maggiore che durante la sua vita, tra libri di poesia, pièce e romanzi, Crowley esercita una grande influenza nelle epoche successive, sia sufficiente pensare alla musica rock, da Jimmy Page a David Bowie. Quali sono i fattori determinanti del successo di una figura tanto controversa?
F.P.: La cifra della provocazione, nel richiamarsi a Crowley, ha certamente un peso particolare – intendendola sia in forma più problematica e dialettica, sia in forma banalizzata e banalizzante. Consideriamo che il sistema di Crowley abbina due eclatanti guanti di sfida all’occidente moderno, la magia e il sesso: la prima a provocare sulle istanze di ragione e scienza da un lato, e dall’altro su quelle della religione come concepita da tutta una tradizione occidentale (cristiana e non solo); il secondo a provocare – specie nelle forme estreme proposte da Crowley – al livello della morale corrente. La sistematizzazione di magia e sesso nell’ambito di pratiche volte a costruire una nuova società apre insomma a un discorso controculturale ad ampio raggio: citare il nome di Crowley – anche in modo un po’ abusivo, impoverendo il suo pensiero – spesso finisce così con l’assumere valenze modaiole lontane da quelle di una sua scuola. Ciò che però non stupisce, anche a fronte di una vita sempre all’insegna dell’eccesso.
Le nozze chimiche di Aleister Crowley è, a suo modo, una biografia del celebre occultista. Considerando anche l’avventura dell’Abbazia magica nella siciliana Cefalù, quali sono state le fonti, magari anche inedite, a cui hai potuto attingere?
F.P.: Dato il tipo di ricerca, non ho lavorato su documenti inediti, ma su romanzi a volte dimenticatissimi e – credo – con un taglio finora mai utilizzato, che permette di illuminare alcuni tasselli di opere invece famose (a partire dai tre sopra citati, vero asse portante della ricerca). Ovviamente ho dovuto dar conto almeno rapidamente anche della sua vita “vera”, benché lì non possa che rimandare alle grandi biografie di lui oggi disponibili, il cui parco titoli è anzi continuamente arricchito. Ma considerata la ricchezza di avventure di Crowley, i punti di vista da cui affrontare la sua figura sono tutt’altro che esauriti. Con l’amica Chiara Meistro, mia socia nell’avventura della Libera Università dell’Immaginario, consideravamo in questo periodo altre piste crowleyane di grande interesse.
A livello di pensiero filosofico, possiamo parlare delle maggiori intuizioni di Crowley?
F.P.: Il sistema di Crowley è complesso e fortemente sincretistico, con una dose (per esempio) non povera di Nietzsche – e in molta parte lo sento lontano da me. Ma mi ha colpito molto la sua riflessione sul “Fa’ quel che vuoi”, che non si esaurisce nell’arbitrio, nel capriccio o nella pura licenza. Interpellare noi stessi su quale sia la nostra “vera volontà”, cioè il nocciolo della nostra identità desiderante, e imparare a desiderare con maggiore consapevolezza è in netta controtendenza rispetto alla “vera volontà” altrui che tante volte ci viene imposta dalle agenzie familiari e sociali. Ho in mente persone – volti concreti – che ormai faticano a desiderare: le loro capacità di dar seguito a quanto più desidererebbero (in attività non biasimevoli) senza laceranti sensi di colpa è stata inibita da brave famiglie gonfie di retorica del sacrificio e pronte a sacrificare la prole al ruolo di personale non retribuito, finendo con lo svuotarne alcune importanti dimensioni identitarie. Casi estremi? Forse, ma non così rari. Come dicevo in altra sede: non c’è bisogno di Crowley per arrivare a quel tipo di attenzioni, ma un tale punto chiave (su cui la sua stessa prassi di vita non è stata sempre limpida) mi sembra enorme.
A quali ricerche stai lavorando ora?
F.P.: A parte la correzione di bozze di Tutto Poe 2, cioè l’esame analitico di tutta la produzione narrativa e poetica dell’Americano Maledetto nell’epoca dei suoi capolavori del fantastico (quella post-“Ligeia”, insomma), che uscirà nei primi mesi del 2021, c’è uno studio su Carmilla di Le Fanu a ripresa e completa revisione del mio primo saggio sul tema di vent’anni fa: le piste che vi seguivo su un peculiare mito (letterario) della Stiria dei vampiri sono state confermate, ma risulta interessante vedere come. Poi ho un volume sulle origini del gotico con la mia socia Chiara, un’Iliade avviata sul filo degli ultimi studi sulla crisi della tarda Età del bronzo, e vari altri progetti. Il covid ha interrotto le lezioni della Libera Università, ma ovviamente non il lavoro di ricerca. Anche se trattare “La maschera della Morte Rossa” (appunto per Tutto Poe 2) ha in questo clima tutto un altro sapore…