L’angolo di Michele Anselmi
La migliore commedia italiana ha sempre vissuto di tipologie antropologiche, bozzetti dialettali, personaggi buffi e contesti sociali, ma sarebbe rimasta “farsa” o “comica” se non ci fosse stato di mezzo un elemento tragico, diciamo tra Cechov e Gogol’ (così teorizzava Furio Scarpelli). Pilar Fogliati, al secolo Maria Del Pilar Fogliati, da Alessandria, classe 1992, ha assimilato bene la lezione. Dotata di un notevole talento trasformista, vocale e fisico, la giovane attrice si fece conoscere con le sue parodie di ragazze romane di varia estrazione; rischiava di restare murata viva nel cliché, un po’ da sketch televisivo, invece ha saputo governarlo, mostrandosi all’altezza in personaggi singoli interpretati in film e serie tv, e ora producendosi in un “one woman show” cinematografico intitolato “Romantiche”, da lei diretto, interpretato e scritto (con la complicità di Giovanni Veronesi e Giovanni Nasta).
Il film, targato Vision Distribution e Indiana, esce il 23 febbraio, ma oggi è stato presentato alla stampa romana all’interno di un tour promozionale in giro per tutta Italia. A prima vista potrebbe sembrare un pigro riciclaggio di personaggi già sperimentati, invece a me pare una fertile riuscita, certo non esente da difetti ma fresca e divertente. Un esordio al quale auguro, con l’aria pessima che tira, una buona riuscita commerciale.
La mattatrice si divide in quattro, introducendo a sorpresa nel menù una ragazza siciliana, dal forte accento palermitano (Fogliati ebbe tempo addietro un fidanzato di lì, pure lui del ramo), che apre la tetralogia, essendo gli episodi cuciti l’uno all’altro tramite un espediente da cellulare e uniti dalla presenza di una psicoterapeuta, la dottoressa Panizzi, presso la quale tutte sono in cura.
Eugenia Praticò, capelli corti, sbarazzina, tanto entusiasta quanto ingenua, ha scritto una sceneggiatura che si chiama “Olio su mela”, ma nessuno se la fila. A Roma, dove vorrebbe farsi conoscere come in un film di Paolo Virzì, lei prova a farsi strada nel “magico” mondo del cinema, ricevendo solo fregature. Vive al “Pigneto”, quartiere un po’ bohémien, quasi idolatrandolo; e intanto capirà, come scandisce la vera cantante Levante nel ruolo di sé stessa, che “non ci sono tanti talenti inespressi in giro”.
Poi arriva Uvetta Budini di Raso, l’aristocratica romana con gli occhi sempre spalancati, vanesia e inconsistente, che dice “tipo…” e “super” ogni tre parole, preda di rampolli altrettanto fessi e viziati, tra feste “indiane” e vacanze esotiche. Si ritrova per fidanzati solo cugini, notoriamente i nobili sono tutti imparentati; per fare qualcosa di diverso deciderà di lavorare per cinque giorni in tutto, trovandolo “fichissimo”, in un vecchio forno di paese, proprietà di famiglia.
Michela Trezza, da Guidonia, si sta invece per sposare con un giovane carabiniere onesto e fattivo. Vende scarpe, indossa degli occhialoni, trova “moderno” un prete che canta, ricorda un po’ la Monica Vitti di “Dramma della gelosia…” di Ettore Scola. Buona, generosa e onesta, si farà tentare sentimentalmente da un amico d’infanzia tornato nella cittadina per un funerale. La domanda è: saprà reagire alla “svogliatura”?
Infine la pariolina Tazia De Tiberis, aggressiva e capobranco, con coda di cavallo e minigonne ardite, una madre separata, “rifatta” nei connotati, e la sicurezza assoluta in fatto di uomini, le cui sicurezze vanno continuamente minate, a partire dalla stempiatura. Figuratevi come la prende quando scopre che il fidanzato golfista, vanitoso e algido, non disdegna una “escort” bellissima, pure simpatica e generosa.
Il titolo completo della commedia recita: “Romantiche… finché non ci sbatti la testa”. A suggerire che la delusione cocente grava come una spada di Damocle su queste giovani donne attraenti, così diverse l’una dall’altra per estrazione, ma cementate dalla prospettiva di una possibile sconfitta, a meno che…
Fogliati-regista sfodera un certo gusto nell’impaginazione, immagino che Veronesi abbia dato una mano, ma naturalmente è come attrice che dà il meglio di sé: anche quando i suoi personaggi s’avvicinano al bordo della macchietta senti, sotto, un palpito doloroso, un riflesso esistenziale, che ispessisce lo sguardo. Non è solo “una” Fregoli dei giorni nostri, non imita il Verdone degli inizi pur ispirandosi a quella scuola.
Semmai non mi spiego una certa riluttanza nel mostrarsi spogliata anche dove servirebbe (gli uomini però sì); il balletto dopo l’amplesso, al suono di “Se telefonando”, è banale; e personalmente avrei usato con più parsimonia la colonna sonora firmata da Levante.
Barbora Bobulova, nel ruolo della psicoanalista, sembra divertirsi davvero nell’osservare le contorsioni verbali delle quattro pazienti; variamente disposti nel cast ci sono Diane Fleri, Emanuele Propizio, Giovanni Anzaldo, Rodolfo Laganà e numerosi altri.
PS. Sui titoli di coda si nota un ringraziamento a Francesco Nuti. Nasce dall’utilizzo, nella scena al cimitero del terzo episodio, di alcuni versi di una canzone scritta dal comico toscano: “Primo ottobre”.
Michele Anselmi