Sound & Vision

“Diamanti grezzi” è un film del 2019 diretto dagli statunitensi fratelli Safdie, prodotto e distribuito dal colosso dello streaming Netflix. La pellicola narra le peripezie di Howard (Adam Sandler), gioielliere newyorkese entrato in possesso di una preziosa pietra proveniente dall’Africa. Oltre ad una regia, una fotografia ed un montaggio magistrale, il lungometraggio “brilla” per la sua lucente colonna sonora, realizzata da Oneothrix Point Never, al secolo Daniel Lopatin, acclamato produttore di musica elettronica sperimentale e collaboratore di artisti dal calibro di The Weeknd (che appare qui in un cameo).

La pellicola si apre con una inquadratura dall’alto di una miniera etiope che si evolve poco dopo in un piano sequenza psichedelico. Entrando digitalmente all’interno dell’opale nero appena ritrovato dai minatori, lo spettatore è catapultato in un tunnel di colori cangianti e di texture traslucide che termina con le pareti del colon del protagonista. Reminiscenze di “2001: odissea nello spazio”. OPN decide di musicare queste prime scene con un roboante drone di sintetizzatore, che esplode in un caleidoscopio di colori non appena la macchina da presa penetra la preziosa pietra. Sin da subito Lopatin dipinge un affresco sonoro espressionista, reminiscente del puntillismo. Un quadro di Pollock realizzato da fraseggi di sintetizzatori Moog. Un muro di suono sintetico, ma tremendamente organico ed umano. Percussioni etniche, guizzi di sassofono, cori femminili e flauti si ibridano alle tastiere creando un amalgama uditivo, vivo e pulsante. La combinazione postmoderna di tutte queste sorgenti sonore così eterogenee tra loro ricorda, strizzandogli l’occhio, le sperimentazioni della colonna sonora di “Blade Runner”. Vangelis contaminato con la Vaporwave. Nascosti dalle miriadi di stratificazioni scintillanti di suono, è possibile captare anche la presenza di tappeti di Mellotron, il leggendario strumento, reso famoso dai Beatles, capace di emulare una sezione di fiati. La colonna sonora beatifica e tendente alla stasi si contrappone al caos della narrazione, al microcosmo di atomi instabili che circondano il protagonista. Oneothrix riesce, però, anche a creare tensione, facendo galoppare gli oscillatori in impazziti arpeggi Sci-Fi durante le sequenze più concitate della pellicola. L’elettronica luccicante di Lopatin è la controparte sonora delle luci al neon che campeggiano nella gioielleria di Howard e nella spettacolare sequenza in discoteca in cui l’entropia del film raggiunge il suo apice. Frammenti di piano elettrico, respiri di sintetizzatore, pulsazioni analogiche guidano lo spettatore, altrimenti privo di riferimenti, attraverso la surreale frenesia della narrazione che raggiunge il proprio climax nelle ultime sequenze del film.

Il cerchio della pellicola viene quadrato perfettamente con un altro piano sequenza senza stacchi di montaggio. Attraverso un’inquadratura impossibile, lo spettatore è accompagnato all’interno del foro di proiettile sulla faccia di Howard, catapultandolo in un mondo onirico che degenera in una galassia di colori prima ancora di approdare ad un cielo stellato. I synth trionfanti di Lopatin musicano egregiamente quest’ultima elettrizzante sequenza esplodendo in una sinfonia ambient, disturbata solamente dall’inaspettata “L’Amour Toujours” di Gigi D’Agostino.

“Puoi vedere tutto l’universo attraverso un opale” viene detto ad un certo punto della pellicola. “Anche attraverso un Moog”, potrebbe, a ragione, controbattere Lopatin.

Gioele Barsotti