La strategia di Obama | Pubblicato su Il Fatto Quotidiano di oggi

Washington. Quando sabato scorso il presidente Obama ha letto la rassegna stampa all’alba come tutte le mattine sullo schermo del suo tablet ha tirato un sospiro di sollievo. Il titolo di fondo del New York Times era eloquente: “L’economia mostra una solida crescita di occupazione per il terzo mese consecutivo”. Inoltre nel solo mese di febbraio sono stati creati 227.000 nuovi posti di lavoro. Sono ottimi dati in tempo di campagna elettorale. Sono molti a ritenere che se questo trend continuerà sino all’estate, la rielezione di Obama è cosa fatta. Mi ritengo un buon termometro della febbre politica americana, visto che da un po’ di mesi sono spesso qui per motivi di lavoro. Se agli inizi di gennaio tra lo staff del presidente si poteva percepire una discreta serenità, ora che la temperatura agonistica è cresciuta la serenità è diventata una quasi certezza. Il presidente è tranquillo ma guardingo. In questo periodo non rilascia interviste, neppure a un veterano del giornalismo come James Fallows, che dalle colonne di The Atlantic si chiede la ragione di tanta discrezione. E’ presto detto: Obama ha sposato una strategia di lungo respiro, sa che il partito repubblicano è in piena crisi, aspetta che i rivali decidano il nome del contendente per scendere in campo con l’autorevolezza di chi aspira al secondo mandato. Ben diverso era il clima un anno fa quando i Tea Party ancora facevano notizia e i repubblicani sembravano uniti nella riscossa. Ora la loro beniamina, l’amazzone Sarah Palin, si è data alla televisione. Ho appena visto sulla HBO Game Change, il film dedicato alla Palin durante la campagna 2008, interpretato da Julianne Moore. Il filmato la dice lunga sull’indipendenza dalle pressioni politiche e sulla tempestività della televisione americana, capace di  affontare gli avvenimenti in corso d’opera. Mi viene in mente la tempestività della nostra televisione, ferma alle gesta di Giuseppe Garibaldi. Game Change è divertente, ma soprattutto istruttivo per capire il dietro le quinte delle contesa elettorale. La Palin, che ha detto di non voler vedere il filmato di cui è protagonista, ne esce a pezzi. Vedendola muoversi sul piccolo schermo si capisce perché è finita a bordo campo. Rob Sheffield recensendo la performance di Palin-Moore su Rolling Stones parla di una donna che dopo aver raggiunto l’apice della popolarità “scivola in uno stordimento catatonico”. Più che a un film sembra di assistere a un reality show di grande attualità, dove si evidenzia come l’estremismo sia un micidiale boomerang. E difatti l’estremismo dei Tea Party sta spingendo il partito repubblicano fuori dal territorio del centro moderato. Facendo il gioco di Obama, ora il presidente può raccogliere consensi anche tra l’elettorato conservatore. A meno di un ribaltone clamoroso sarà il mormone Mitt Romney a sfidarlo nelle elezioni del prossimo novembre. Su Romney i giudizi sarcastici si sprecano. Non tanto per l’ostentazione della sua ricchezza che in tempi di vacche magre suona insulto a chi stenta arrivare a fine mese, ma soprattutto per le gaffe a getto continuo. Come quella del setter di famiglia Seamus, trasportato per una vacanza in Canada sul tettuccio della station wagon dei Romney. L’insolito viaggio durato 12 ore ha scatenato le ira degli animalisti, anche perché il povero Seamus (così chiamato in ricordo della celebre canzone dei Pink Floyd) durante il tragitto si è ammalato di diarrea, scaricando sull’auto i suoi escrementi e ora l’opinione pubblica si chiede che fine farebbe la macchina americana se Romney venisse eletto presidente. Dice un mio conoscente consigliere di Obama che alla Casa Bianca basta ricordare le gesta del povero Seamus per suscitare l’allegria del presidente. Se dunque la rielezione è a portata di mano, non per questo si dovrà abbassare la guardia. Obama sa che gran parte delle persone che lo hanno votato non sono soddisfatte e potrebbero marcare il proprio dissenso. A parte la freddezza del suo stile più british che all american (ho visto il presidente cantare alla Casa Bianca insieme a Mick Jagger e B.B.King e non mi è sembrato affatto freddo), molti supporter del 2008 gli rimproverano vari errori. Ecco l’ultimo elenco stilato dai suoi consiglieri. Aver concesso troppo alle banche per tamponare la crisi economica, senza imporre più regole e maggiore credito alle imprese. Avere lasciato in mezzo al guado la riforma sanitaria. Avere fatto troppi compromessi con i repubblicani dopo la loro vittoria di novembre 2010. Avere concluso ma non chiuso la guerra in Afghanistan. Avere disilluso sia i palestinesi che gli ebrei, differendo di continuo la creazione di uno stato palestinese e non garantendo Israele contro il pericolo nucleare dell’Iran. Avere dispiaciuto l’opposizione russa, congratulandosi per rielezione di Putin, al pari del segretario di stato Hillary Clinton. “Un insulto per il nostro popolo”, ha dichiarato Lyudmilla Alexeya, l’attivista dei diritti umani in Russia. Per rispondere alle critiche Obama ha fatto realizzare un filmato di 17 minuti al premio Oscar Davis Guggenheim che uscirà oggi. Ne ho visto qualche minuto in anteprima. Il film, raccontato da Tom Hanks, descrive il primo mandato della presidenza Obama, dagli inizi alla cattura di Bin Laden alla grande crisi alla ripresa in atto alla promessa di fare meglio i prossimi 4 anni. Si presenta come un concentrato di azioni positive e di entusiasmo, pronto a far tesoro degli errori commessi. Ma l’incoraggiamento più galvanizzante viene dalla crescita dell’immagine di Obama nel mondo. Accusato di “servilismo” durante il viaggio in Cina nel 2009, oggi il presidente raccoglie i frutti di una strategia rispettosa ma non subordinata. E se nel 2008 il consenso raccolto in Europa si attestava al 31% in Germania e al 42% in Francia, ora è cresciuto rispettivamente al 62% e al 75%. Nel rapporto non si fa menzione dell’Italia. Nonostante il governo Monti, l’Italia continua a contare less than zero.