Lo Zio Boonmee, affetto da insufficienza renale cronica, ormai malato terminale, ha deciso di trascorrere i suoi ultimi giorni in campagna, circondato dai familiari. Improvvisamente il fantasma della moglie morta da molti anni torna per assisterlo e il figlio da tempo scomparso riappare in forma di animale.
Riflettendo sulle ragioni della malattia che lo ha colpito, e sul suo karma negativo, il protagonista decide di attraversare la giungla con la sua famiglia fino a una misteriosa caverna in cima alla collina: luogo per lui simbolico.
Il film rivela il regista è un omaggio al suo paese, a un certo tipo di cinema con cui è cresciuto. Lui dice di credere nella trasmigrazione dell’anima in quella sorta di canale che collega esseri umani, piante, animali e spiriti. E la storia dello Zio Boonmee racconta appunto del rapporto uomo-animale, cancellando nettamente la linea di demarcazione che li separa.
Gli eventi rappresentati in un film diventano per Weerasethakul memorie condivise dalla troupe, dagli attori e dal pubblico. In questo senso, fare film non è semplicemente creare vite sintetiche, ma esplorare i meccanismi interni di una sorta di macchina del tempo. Scorrere avanti e indietro tra presente, passato e futuro. Lasciare uno spazio a forze misteriose che aspettano solo di essere rivelate. Il cinema dunque come fonte di energia che ancora non è stata utilizzata e compresa appieno. Così come non è stato ancora del tutto spiegato il funzionamento della mente. Il Christopher Nolan di Inception non è poi così distante…
