Scordatevi la biondissima ed eterea fanciulla dagli occhi blu e dalla voce fatata di Mamma mia!, il blockbuster della Universal Pictures che la lanciò sul grande schermo nel 2008. Quella che la coppia di registi Epstein-Friedman ci propone in Lovelace è un’Amanda Seyfried a dir poco inedita, che per l’occasione si è lasciata alle spalle ogni tabù calandosi anima e corpo nei panni della protagonista. E va riconosciuto, lo ha fatto in maniera egregia.

All’inizio degli anni Settanta, la ventunenne Linda vive oppressa dai genitori bigotti (ha il coprifuoco alle 23, e prendere la tintarella in costume nel giardino di casa è considerato scandaloso). Una sera conosce Chuck Traynor (il sempre bravo Peter Sarsgaard), e se ne innamora subito – tanto da fuggirci insieme e sposarlo. Linda assapora una nuova libertà, fatta di feste alcoliche e sesso a tutto spiano. Sino a diventare l’improbabile protagonista di Gola Profonda, il primo film pornografico pensato per il cinema, in cui la graziosa moretta darà prova di essere una vera e propria specialista nell’arte della fellatio. Viene ribattezzata col nome d’arte di Linda Lovelace, nuova portavoce della rivoluzione sessuale, mentre Gola Profonda si impone come fenomeno mediatico e fa il tutto esaurito al botteghino. Sei anni dopo, in procinto di pubblicare la propria biografia, Linda racconta al mondo una versione dei fatti completamente diversa, puntando il dito contro il marito-padrone e opponendosi all’immagine di pornodiva che le era stata cucita addosso.

Epstein e Friedman scelgono di affiancare al duplice piano temporale del racconto (che si snoda tra il passato e il presente di Linda) i due punti di vista opposti sulla vita della star: come appariva al pubblico e com’era realmente. Il ritorno alle sequenze del passato mette così in luce un doloroso dietro le quinte, di cui lo spettatore aveva solamente intuito qualcosa nella prima parte del film, e che riemerge dando nuovo spessore al personaggio di Linda Boreman. È infatti il suo contorno psicologico a prevalere, più che l’insistenza sulla riproduzione fedele delle scene a luci rosse – per quanto, certo, il contesto più generale dell’industria pornografica è descritto con notevole minuzia di particolari, riuscendo in qualche modo a restituire lo squallore misto a maschilismo che governava le produzioni hollywoodiane del settore.

Lo spaesamento che coglie lo spettatore nel passaggio da un registro all’altro è attutito dalla durata relativamente breve di Lovelace (90 minuti, al di sotto della media dei film biografici), senza – in fondo – diminuire la complessiva buona riuscita della pellicola. E la scelta della Seyfried si è rivelata una carta vincente: fisicamente perfetta nel ruolo dell’accattivante ragazza della porta accanto, bella ma non troppo, l’attrice originaria della Pennsylvania ha saputo impersonare il lato ingenuo/bambinesco e quello più battagliero e drammatico di Linda con la stessa credibilità. Accanto a lei, Sarsgaard appare convincente nelle vesti del cocainomane e brutale Chuck, violento ma al contempo dipendente dalla giovane ed inesperta mogliettina. Un’irriconoscibile ed intensa Sharon Stone è la madre Dorothy, mentre Hank Hazaria e un ingrigito Chris Noth si impegnano con successo nel ricoprire i rispettivi ruoli del regista porno Jerry Damiano e del produttore Anthony Romano. A completare il già ottimo cast c’è il cameo di James Franco alias Hugh Hefner (creatore dell’impero di Playboy), Wes Bentley e il belloccio Adam Brody nella parte del pornodivo Harry Reems.

Buoni i costumi di Karyn Wagner e le scenografie di William Arnold, in puro stile anni Settanta. Prodotto dalla Eclectic Pictures e girato quasi interamente a Los Angeles in soli 25 giorni, Lovelace è uscito in America lo scorso agosto marchiato con la “R”, ossia con il divieto ai minori di 17 anni.

Ilaria Tabet