La mia teoria del cinema è impostata sul sangue, sulle scene a sensazione, in altre parole, io ho voluto trasferire in un giallo le violenze dei western di Sergio Leone. Mi pare di esserci riuscito, L’uccello dalle piume di cristallo sta andando molto bene qui da noi, mentre spopola addirittura in Germania. In questi giorni esce anche negli Stati Uniti, dicono che ne prevedono un grande successo: vedremo”.

Con il suo folgorante esordio dietro alla macchina da presa, il regista romano firma un lavoro spartiacque in cui sono già ravvisabili i marchi di fabbrica di un autore che sarà imitato dai cineasti di tutto il mondo. Dario Argento e L’uccello dalle piume di cristallo (Profondo rosso editore, Roma, 2012) è il titolo dell’informato volume che Giovanni Modica dedica alla pellicola cui si deve, almeno su larga scala, l’esplosione del giallo all’italiana. Certo, prima c’è stato Mario Bava, e fa davvero bene l’autore ad insistere sull’influenza del mago sanremese, sebbene lo sguardo del giovane collega dimostri da subito una maturità e un’originalità del tutto inedite.

Una cospicua parte del libro è intelligentemente dedicata alle fonti, a presunti “furti” e influenze più o meno consapevoli che hanno portato alla fisionomia finale di questa pietra miliare cinematografica uscita nelle sale nel 1970. Da La statua che urla, romanzo di Frederic Brown pertinentemente citato come una delle maggiori ispirazioni argentiane, cui è dedicato un intero capitolo, si passa ad una lista di pellicole che potrebbero aver frullato in testa al Maestro in fase di ideazione. Troppo libera e meno affidabile è, invece, la lista dei film e degli autori che avrebbero tratto spunto dall’oggetto dell’analisi.

Alla disamina storiografica, quasi un filo rosso che collega di sezione in sezione l’intero testo, si alternano curiosità varie sugli attori e sugli altri aspetti della produzione: dalla fotografia al montaggio (parecchio interessante l’intervista a Franco Fraticelli), dalla musica alle locations fino all’accoglienza critica del tempo e di oggi. Buona la scelta editoriale di includere esclusivamente interviste risalenti al periodo dell’uscita della pellicola; davvero interessanti i due pezzi scritti all’epoca da Luigi Cozzi, storico collaboratore e amico di Argento, che di lì a poco avrebbe scritto con lui Quattro mosche di velluto grigio, il terzo movimento della cosiddetta “trilogia animale”. Com’è noto, il secondo è, invece, Il gatto a nove code, cui le edizioni Profondo rosso dedicheranno presto un altro volume monografico.