Lucio Dalla e il cinema | Dai musicarelli all`"impegno" con i primi Taviani
L’improvvisa scomparsa di un mito della musica italiana come Lucio Dalla ha spinto l’intera popolazione a riversarsi in librerie e negozi di musica per l’acquisto spasmodico delle sue compilation. Come se una canzone, con la sua potente forza evocativa, riuscisse in qualche modo a riportare in vita la sua persona. Tutti conoscevamo bene la data della sua nascita e, adesso che la tragedia gli ha impedito di compiere 69 anni, ci torna in mente che l’impulso creativo di Dalla non si esauriva soltanto nell’arte di un cantautore, ma ha attraversato il cinema in tempi e modi tutt’altro che marginali.
Esempio di fusione tra le due arti, sono appunto le sue apparizioni nei cosiddetti “musicarelli” dei Sessanta: il primo della sua carriera si intitolava “Questo pazzo pazzo mondo della canzone”, diretto da Bruno Corbucci e Giovanni Grimaldi nel 1965; seguì nello stesso anno “Altissima pressione” di Enzo Trapani, in cui Dalla appariva con Lando Fiorini e Gianni Morandi, mentre ne “I ragazzi di bandiera gialla”, diretto da Mariano Laurenti nel 1967, l’artista recitava con Patty Pravo e Gianni Boncompagni. A queste pietre miliari dello spettacolo si associano i nomi di Caterina Caselli, Enzo Jannacci e Tony Renis all’interno del cast di “Quando dico che ti amo”, film di Giorgio Bianchi che attesta un’altra apparizione di Dalla sul grande schermo.
A questo genere di commistione, si sovrappone una collaborazione più “pura” di Dalla nei confronti della settima arte, spesso originata da rapporti di amicizia diretta con i registi: è il caso del suo concittadino Pupi Avati che al legame con l’amico Lucio dedicò il suo “Ma quando arrivano le ragazze?" e che lo scelse come attore per “La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone” nel 1975, al fianco di personalità del calibro di Ugo Tognazzi. Strano ma vero: alla grande attualità di questa morte oggi si associa la grande attualità di una “ri-nascita”, quella dei fratelli Taviani appena insigniti del prestigioso Orso d’Oro a Berlino 2012 con l’acclamato “Cesare deve morire”. Nati a San Miniato, in Toscana, nel 31 e nel 29, Paolo e Vittorio ricevono un’educazione musicale che si ripercuote profondamente sul loro lavoro: trasferitisi a Roma, i due fratelli realizzarono una serie di documentari tra il 1954 e il 1959 prima di affrontare la tematica politica con “Un uomo da bruciare” nel 1962, ispirandosi alla vita del sindacalista Salvatore Carnevale. L’esordio nel lungometraggio è con Valerio Orsini per “I fuorilegge del matrimonio” (1963), incentrato sulla questione del divorzio. Concluso il sodalizio con Orsini, i Taviani si dedicarono ad un film testimonianza/riflessione sulla crisi della sinistra simboleggiata dalla scomparsa di Togliatti: si tratta de “I sovversivi” (1967), film in cui vera protagonista della vicenda è la scomparsa di un grande uomo attorno al quale ruotano i dolori dei “singoli” che con lui hanno perso la giovinezza. Assurdo, ma vero: la prima parola pronunciata è il nome di “Ermanno”, interpretato proprio da Lucio Dalla, sulle labbra dell’amico fotografo Muzio.
Montaggio ellittico e storie parallele aprono una finestra sull’interiorità di questo giovane appena laureato in filosofia che trova il coraggio di dire ai genitori di voler fare altro nella vita perché in fondo “la filosofia è solo una tecnica”. Davanti alla bara del loro leader, Muzio rivela al compagno che se si fosse trovato lui al posto di Togliatti gli avrebbe senza dubbio celebrato un’ode e sussurra: “Ermanno, fratello mio, non avevi il diritto di morire”. Celebrazioni a metà tra finzione e realtà, tra la commozione di una piazza e quella di un podio: il destino e l’arte sembrano legati insieme in un modo che sfugge alle logiche della ragione. Da un lato Paolo e Vittorio rivivono una seconda giovinezza esprimendo massima riconoscenza verso i loro “attori non professionisti” del carcere di Rebibbia, dall’altro Lucio Dalla ci saluta lasciando il ricordo di quel personaggio impegnato con il quale il film dei Taviani lo consacrò. Ermanno, un ventitreenne sovversivo che “dimostra quasi quarant’anni”.
Ilaria Abate