“Luna Park”, la nuova serie italiana targata Netflix, è approdata venerdì 30 settembre sulla piattaforma streaming. La serie, ideata da Isabella Aguilar, riesce ad unire ambizione e passione. Due aspetti che vengono più volti ripresi nell’arco dei 6 episodi: il primo si riconosce nella voglia e nella necessità di creare personaggi innovativi e ben costruiti, il secondo si ritrova nei dettagli che, riprodotti fedelmente, riescono a creare un’ambientazione suggestiva e ricca di fascino.
“Luna Park” si sviluppa nella Roma degli anni ’60 in cui si scontrano varie e suggestive realtà: da una parte troviamo la famiglia Marini, una famiglia di giostrai che hanno cresciuto Nora, una giovane e intraprendente donna a cui viene stravolta la vita, dall’altra la famiglia Gabrielli in cui troviamo Rosa, una giovane benestante con la voglia e la necessità di imporsi nella società e diventare la donna che sogna di essere.
La storia delle due giovani gravita attorno ad altri personaggi: dai comunisti Baldi con i figli Matteo e Simone, alla stella del cinema Sandro Ralli, un magnetico idolo delle folle femminili e i pericolosi cugini Grotta.
Tanti volti, tante storie che si intersecano e che, inevitabilmente, si fondono insieme, ma troppo poco tempo. Da subito, infatti, appare chiaro che i sei episodi sono troppo pochi per dare ad ogni personaggio il giusto spazio in cui sviluppare il proprio cammino. La serie, purtroppo, mette troppa “carne al fuoco” con l’inevitabile conseguenza di perdere di vista la storyline principale: il ritrovamento tra le due sorelle, Nora e Rosa.
Un’altra conseguenza del troppo materiale è la poca credibilità di alcuni passaggi che, spesso e volentieri, risultano bruschi e troppo affrettati. Questo è un vero peccato, Isabella Aguilar è infatti una regista abile nel costruire racconti credibili e una scansione episodica efficace che riesce ad incuriosire portando lo spettatore al famoso binge-watching che è l’obiettivo del colosso americano.
Nonostante le criticità, Luna Park ha un grande punto di forza: la fotografia e la ricostruzione – il più fedele possibile – di una Roma anni ’60.
La serie è infatti ricca di tematiche socio-politiche, di quel pizzico romantico che richiama la “Dolce Vita” e quel gioco di luci e sfarzo che colorano la meraviglia di una Roma dimenticata. Uno spaccato realistico in parte minato dalla scelta di aggiungere canzoni moderne come accompagnamento, che rischiano di allontanare lo spettatore dal contesto, ma che si conferma riuscito anche quando la serie fa un passo indietro agli anni ’40 per raccontare un necessario flashback, al quale la suggestione fiabesca del Luna Park aggiunge fascino.
“Luna Park”, nonostante alcuni elementi poco a fuoco e il finale lasciato volutamente aperto, che lascia con l’amaro in bocca e quel pizzico di curiosità di voler scoprire cosa succederà, si lascia guardare tutta d’un fiato. Ogni storyline, sebbene con diversi punti negativi, ha grandi potenzialità: tra incursioni nel mondo dello spettacolo, lotta di classe, accenni crime e un’interessante vena soprannaturale, riesce a conquistare.
Flavia Arcangeli