L’angolo di Michele Anselmi

Oltre un certo limite non ha senso raschiare il fondo del barile. Artisticamente ne escono solo puttanate. È il caso, a mio parere, di “Luther. Verso l’inferno”, il film di quasi 130 minuti, lo danno su Netflix dal 10 marzo, che recupera il celebre poliziotto londinese incarnato da Idris Elba, classe 1972. Dopo cinque stagioni tv e venti episodi (2011-2019), il tosto/dolente ispettore nero della SCU (Serious Crime Unit) sembrava andato in pensione, invece ecco tornare in una specie di puntata lunga, coprodotta dallo stesso Elba, che sembra alludere, nel finalissimo, a una nuova stagione.
Un classico sin dai tempi del “Tenente Colombo”, che poi era Columbo in originale. Solo che anche nei ripescaggi, più o meno tardivi, bisognerebbe avere qualcosa di buono da raccontare; e non è il caso, francamente, di “Luther. Verso l’inferno”, scritto sempre da Neil Cross e affidato alla regia di Jamie Payne.
Del resto si vede subito che il bravo attore è tutto meno che convinto, forse dopo aver letto il copione. Quasi non recita, si limita a indossare il vecchio cappotto sopra la camicia e la barba malfatta, sanguinando sempre da qualche parte, per dare la caccia, dopo essere evaso un po’ troppo facilmente dal carcere dov’era finito, a un killer mattoide/feroce con la faccia e la strana pettinatura di Andy Serkin, che fu il repellente Gollum (grazie a prodigiose trasformazioni digitali) nel trittico “Il Signore degli Anelli”.
L’idea di base, non dico di più, è che tutti siamo ricattabili per qualcosa che facciamo davanti a un computer (pensieri, atti sconci, email, fotografie); sicché il “villain” David Robey, che ha un conto in sospesa con l’intera società britannica, orchestra un piano diabolico cosparso di rituali omicidi, un po’ alla “Seven”, con tanto di video destinati ad accendere una curiosità morbosa in migliaia di insoddisfatti “guardoni”. Già visto? Certo. Ma non sta qui il problema del film. Che pare scritto con la mano sinistra da Cross, recitato senza convinzione da tutti gli interpreti, scandito forse da qualche ironia sul tema di James Bond (Luther rifiuta un Martini seduto al bancone di un bar).
Eppure, ad essere onesti, l’ho visto fino in fondo e non dura poco. Anche per capire dove la storia sarebbe andata a parare, visto che, nel moltiplicarsi di sadismi, efferatezze e deturpazioni, si finisce in una raggelante “mansion” norvegese in mezzo a una distesa di neve e ghiaccio. Ben mi sta.
Quanto a Idris Elba, vedrete che continuerà, magari una volta ogni due anni, se non gli propongono di meglio, a interpretare un’avventura dell’irascibile e deduttivo Luther, forse ora alle prese con un nuovo incarico anti-crimine, finché non invecchierà troppo, come accadde a Sylvester Stallone con Rocky e Rambo.

Michele Anselmi